Nel cinema di oggi, pochi autori sanno mobilitare come Christopher Nolan. Non necessariamente grandi masse di pubblico (è mainstream, ma non così tanto dalla trilogia del Cavaliere Oscuro in poi), ma piuttosto ogni suo film è una chiamata alle armi per critici e cinefili, che da quasi vent’anni ormai si dividono sul suo giudizio. Non farà eccezione Oppenheimer, gargantuesco biopic su una delle figure americane più controverse del XX secolo, con il quale Nolan da un lato conferma e dall’altro trascende il suo spirito artistico.
È la storia del Prometeo americano, dell’uomo che ha rubato il fuoco agli dèi e per questo è stato punito. La storia di J. Robert Oppenheimer, del padre della bomba atomica che 73 anni dopo il suo primo (doppio) utilizzo resta ancora il metro di misura bellico in grado di alimentare fantasmi e paure in tutto il mondo. Questo non ha impedito a diverse nazioni di farne scorta, ufficialmente come deterrente, in una paradossale corsa alle armi per la pace al momento stravinta da Stati Uniti (5.500 testate secondo i dati del 2021) e Russia (6.250), ovvero i due Paesi che negli ultimi mesi se le sono promesse a vicenda, perché nessun arma è stata mai inventata senza che che sia arrivato il momento di giustificarla a parole o coi fatti.
Christopher Nolan parte proprio da qui, dai limiti dell’onda d’urto che ha iniziato a propagarsi il 6 agosto 1945. Non serve rievocare nel dettaglio gli effetti che le bombe hanno avuto sul mondo, perché ancora li stiamo vivendo giorno per giorno, minaccia per minaccia. Più interessante è invece scoprire l’uomo dietro a tutto, quello scienziato brillante che ha cambiato il mondo pur correndo il rischio di distruggerlo. Oppenheimer non è un film revisionista: condona ma non condanna, mette l’accento sull’inevitabilità del fatto storico, senza tuttavia negare che abbia cambiato per sempre gli equilibri del mondo e persino la reputazione morale degli Stati Uniti. Lo scienziato interpretato (benissimo, ma non c’erano dubbi) da Cillian Murphy è tormentato dalle immagini del futuro, del passato e del presente, ma senza mai rinnegare quello che ha fatto e i motivi per cui lo ha fatto.
Di questo parla una delle due linee narrative intrecciate da Christopher Nolan in maniera molto meno arzigogolata rispetto a Tenet o Dunkirk (del quale Oppenheimer è in qualche modo contraltare). Corrono “solo” due binari in Oppenheimer: uno è intitolato fissione e riguarda proprio il suo protagonista, rimanda all’idea di reazione nucleare nella quale il nucleo si divide in due nuclei più leggeri, ma non meno tormentati sotto l’aspetto psicologico; c’è quindi l’Oppenheimer creatore della bomba atomica e quello fortemente convinto che lo sviluppo di altri armi vada fermato, per non dare veramente inizio ad una escalation globale di deterrenza che non può che portare inevitabilmente al punto critico.
La seconda linea è invece intitolata fusione, altro tipo di reazione nucleare nella quale i due nuclei invece si uniscono per formarne uno più pesante. Qui viene raccontato un altro grande protagonista della storia americana, Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), che è stato Presidente della Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti. È il momento in cui Nolan, qui meno ossessionato dal tempo ma comunque interessato a far convergere passato e presente in unica linea, racconta il periodo successivo all’uso delle due bombe su Hiroshima e Nagasaki e che cosa ne è stato di quel Prometeo americano, punito dagli stessi uomini per aver dato loro il fuoco della loro stessa distruzione.
Il tessuto narrativo parla la stessa lingua di Nolan, il suo taglio autoriale resta sempre riconoscibilissimo ma qui attinge anche ad una fonte che gli è stata sempre imputata come una mancanza. In certi tratti, Oppenheimer diventa un film che pizzica le corde del lirismo, che cerca cioè non di procedere per immagini che abbiano un senso solo drammaturgico, ma che possano in qualche modo stimolare un sentimento, un emozione. Ecco quindi che il biopic non vive degli spazi aperti del deserto del New Mexico, quanto piuttosto di stanze chiuse piene di gente che parla. Nolan si affida per la prima volta dai suoi inizi completamente alla parola, alla capacità degli attori di sostenere il ritmo dei suoi dialoghi (e qui è doveroso l’applauso a Emily Blunt, in odore di nomination agli Oscar) ma prendendosi comunque gli spazi giusti per un twist emotivo, un cinema da camera che privilegia l’analisi intimistica e psicologica che – proprio come nel Kammerspiel tedesco – procede come una continua lente di ingrandimento verso i personaggi, favorita anche dall’uso di videocamere IMAX usate però in maniera sperimentale, con piani stretti che non soffocano.
Oppenheimer è una grande, grandissima opera. La sua natura di biopic non lo porterà probabilmente ad avere lo stesso appeal commerciale di film come Inception, e i difetti nella gestione delle due anime narrative (non perfettamente amalgamate) ne limitano il completo potenziale, ma è un film sublime nella più romantica delle sue accezioni. La sequenza del Trinity Test e il finale in crescendo, il sound design fatto di continui rimandi tra i rumori della scienza e quelli del peso del successo per lo scienziato, producono un sentimento peculiare, un misto tra piacere e terrore, è la testimonianza che si sta guardando qualcosa di spettacolare e insieme terrificante.
La storia americana è questo: ancora oggi determina i nostri usi, costumi, economie di consumo e orizzonte culturale di riferimento. Guardiamo i loro film, le loro serie, seguiamo i loro sport e sogniamo il loro stile di vita. Ma dietro al velo si nascondono non solo le storture dell’attualità sociale e politica, ma anche il fantasma di quello che è stato fatto per arrivare a questo istante nel tempo. Nolan, figlio della generazione cresciuta a cavallo della guerra lo sa: non sta a lui giustificare le azioni dei padri e dei nonni, non spetta a lui neppure condannare. Quello che può fare è mettere di nuovo l’uomo di fronte al peso delle sue azioni, instillando il dubbio che forse quel passato non sia così lontano e quegli orrori non sono svaniti per sempre in una gigantesca colonna di fuoco, fumo e morte.
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