Dopo 3 anni di attesa, la sesta stagione di Peaky Blinders era chiamata a onorare con un gran finale una serie che dalle sporche strade di Birmingham si è spostata nei palazzi del potere di Westminster. La parabola di Thomas Shelby (Cillian Murphy) non sembrava conoscere punto discendente e solo la rapida e antitetica ascesa del fascismo e un cliffhanger da brividi avevano fatto pensare il contrario.
Alla fine della quinta stagione avevamo lasciato il leader dei Peaky Blinders di fronte al suo fallimento: il piano per uccidere Oswald Mosley è andato in fumo e a rimetterci la vita sono stati invece familiari e alleati di Tommy, lasciato solo di fronte alla prospettiva di un suicidio liberatorio. Lo ritroviamo ora diviso tra la necessità di mettere in salvo una volta per tutte la sua famiglia e il suo impero, e quella di fermare la ribalta del fascismo sul suolo britannico, in combutta con Winston Churchill. La pandemia e soprattutto l’improvvisa scomparsa di Helen McCrory (la zia Polly) hanno probabilmente costretto a cambiare prospettive e impostazioni narrative di questi nuovi episodi, impeccabili nella forma ma più slavati nella sostanza.
Più che nei singoli meriti, infatti, quest’ultima stagione va valutata per la sua capacità di fornire un’adeguata e soddisfacente chiusura alla serie di Steven Knight in corso dal 2013: visivamente coinvolgenti, i sei episodi della sesta stagione di Peaky Blinders risultano tuttavia sfilacciati, eccessivamente votati al lirismo e all’auto-contemplazione. Una matassa confusa di giochi di potere politici con echi alla Citizen Kane molto (troppo) distanti dallo spirito brummie degli inizi.
Incontrando le stesse difficoltà di altre serie dello stesso genere – Breaking Bad e Sons of Anarchy, per citarne due con cui condivide lo stesso arco drammaturgico riservato al suo protagonista principale – si è deciso di sbrogliare questo ingarbugliamento narrativo in maniera o troppo semplicistica, oppure di non risolverlo affatto lasciando un senso di incompiutezza difficile da digerire. In entrambi i casi, più che un imperativo assoluto l’ultimo ordine di Tommy Shelby si è rivelato un deludente monito incapace di suscitare lo stesso devoto timore reverenziale.
Non la peggiore delle stagioni, ma un potenziale amaro in bocca per chi si aspettava lo stesso mordente che ha reso celebre Peaky Blinders, serie vittima dello stesso imborghesimento così faticosamente conquistato dal suo – questo sì – indimenticabile protagonista.
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