Promises: la recensione del film con Pierfrancesco Favino e Kelly Reilly in concorso a Roma FF16
telegram

Promises: la recensione del film con Pierfrancesco Favino e Kelly Reilly in concorso a Roma FF16

L'attore italiano è protagonista di una tormentata storia d'amore con la star di Yellowstone

Promises: la recensione del film con Pierfrancesco Favino e Kelly Reilly in concorso a Roma FF16

L'attore italiano è protagonista di una tormentata storia d'amore con la star di Yellowstone

promises recensione

Promises, adattamento dell’omonimo romanzo di Amanda Sthers, è un film che ha richiesto un lungo processo creativo. Come ha raccontato in un’intervista a Best Movie e ha ribadito nella conferenza stampa a Roma, alla scrittrice e regista francese sono stati necessari tre anni per scrivere il libro e cinque per adattarlo al grande schermo e raccontare così il tempo di una vita intera nel suo aspetto più romantico.

Tempo. È questa la parola che dà forma e sostanza a Promises, presentato oggi alla Festa del Cinema di Roma. La sua natura viene rivelata sin dall’inizio e il film si avvinghia ad un aggettivo predominante: proustiano. Alla ricerca del tempo perduto diventa la chiave di lettura della vita di Alexander (Pierfrancesco Favino), uomo diviso tra due patrie, l’Italia e l’Inghilterra, e tormentato dall’amore costantemente sfiorato con Laura (Kelly Reilly, star di Yellowstone). I due si incontrano per la prima ad una festa e da quel momento la loro vita è segnata dal rimpianto e da un’eterna ricerca del momento giusto; un autentico colpo di fulmine, perché «Si ama per un sorriso, per uno sguardo, per una spalla. Tanto basta», ricorda Proust.

A tirarlo verso il nostro Paese c’è la discendenza del padre Vittorio e soprattutto il facoltoso nonno (Jean Reno), ma proprio la tragica perdita delle persone che più lo legavano all’Italia fa sì che diventi per lui una terra di fantasmi dalla quale cerca costantemente di fuggire. L’amore, anche quello per Laura, è contraddistinto quindi da un costante capriccio di fondo che rende intorpidita e insipida ogni altra relazione con cui Alexander/Sandro prova a occupare il tempo, sperando possa distrarlo o dargli abbastanza per andare oltre. Ma all’amore e alla morte non si può sfuggire, come ha imparato a sue spese.

Il tempo però non è una linea retta, ma una spirale in cui passato, presente e futuro sfuggono l’uno all’altro e inevitabilmente tornano a incrociarsi, dando così spazio alla memoria di agire nel suo modo più naturale e insieme crudele – «Troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso». 

La narrazione e il montaggio di Promises si sviluppano proprio così: scene di vari momenti della vita di Alexander, richiamati da ricordi e sensazioni – «Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo». Insieme compongono un quadro romantico atipico che ha per protagonista un apolide sentimentale e la donna che incarna tutto quello che pensa gli manchi nella vita. Sandro è come il Cosimo Piovasco di Rondò de Il Barone Rampante (Calvino è l’altro grande riferimento letterario scelto dalla Sthers) e si rifiuta di scendere dall’albero sul quale è salito e si è costruito vita e aspettative.

Il risultato è un film non esageratamente struggente o insistentemente sdolcinato, quanto chirurgico nel mostrare come l’amore possa essere anche dolore e rimpianto senza per forza perdersi in lacrime e disperazione. Una spirale nella quale molti – non solo il personaggio del sempre perfettamente centrato Favino – sono stati presi almeno una volta nella vita. Il perché, arriva ancora una volta da Proust:

«Desideriamo essere capiti, perché desideriamo essere amati, e desideriamo essere amati perché amiamo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA