Alle 23.30 dell’11 ottobre 1975, una scatenata compagnia di giovani comici e scrittori cambiò per sempre la televisione e la cultura americana, dando vita allo show comico più famoso degli Stati Uniti, il Saturday Night Live. Il film Saturday Night, presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma, è basato sulla storia vera di ciò che accadde dietro le quinte nei 90 minuti che precedettero la prima trasmissione del SNL, rigorosamente in diretta e non pre-registrata: il conto alla rovescia, in tempo reale, per l’inizio di uno show in grado di incidere ancora oggi, a quasi cinquant’anni da quella storica prima volta, nell’immaginario collettivo.
Si facevano chiamare “The not ready for prime time players” (gli artisti non pronti per il prime time); erano Chevy Chase, Dan Aykroyd, John Belushi, Gilda Radner, Jane Curtain, Laraine Newman, Garrett Morris, ai quali vanno aggiunti i tanti ospiti speciali, da Billy Crystal a Jim Henson, per non parlare di scrittori, truccatori, costumisti, tecnici, musicisti e, su tutti, del produttore trentenne Lorne Michaels, interpretato dal Gabriel LaBelle di The Fabelmans.
A portare sul grande schermo quella serata incredibile è Jason Reitman, affiancato in sceneggiatura da Gil Kennan: un regista abbastanza sottovalutato, con alle spalle una carriera eterogenea ed originale (Thank You For Smoking, Tra le nuvole, Ghostbusters: Legacy) che ha ribadito più volte il suo talento di narratore in grado di mettersi al servizio delle storie che cerca di raccontare.
Folgorato quella compagnia irripetibile e a dir poco dinamitarda di geni e talenti (il papà Ivan Reitman lavorò con molte star del SNL), Reitman sapeva da sempre, a suo dire, che prima o poi avrebbe portato questa storia sul grande schermo (anche se nel 1975 non era ancora nato) e alla prova dei fatti gli ha dato la forma di un serrato e turbolento thriller comico al fulmicotone, in cui succede letteralmente di tutto: i costumi non sono pronti, i fari delle luci cadono di netto e rischiano di ammazzare qualcuno e i capricci di tutti la fanno da padrone, tra improvvise accelerazioni e la tentazione, sottobanco, di rimandare tutto di una settimana, o di mandare addirittura tutto quanto in malora (come recita la frase di Michaels posta in esergo: “Lo show non va certo in onda perché è pronto, ma perché sono le 23:30”).
Il dietro le quinte di Saturday Night è un tripudio di post-it, appunti, schermaglie, cocaina sniffate dietro le quinte, sketch da ritagliare al millimetro in termini di minutaggio, produttori sopra le righe e incontentabili e faccendieri di ogni ordine e grado: dai giovinastri più impacciati alle vecchie volpi più scafate, passando per una miriade di talenti votati all’improvvisazione e al colpo di genio, tutti lì solo far saltare il banco e strappare una risata in più. Reitman racconta questa scatenata comitiva con amore e passione e soprattutto lo fa in presa diretta, ricorrendo a continui e vorticosi piani sequenza che montati insieme ci portano nella carne viva di una bottega di comicità irripetibile nel momento in cui si materializzò per la prima volta.
Saturday Night è dunque un film di scontri verbali esilaranti e affilati, popolato da un ventaglio infinito di situazioni ora brillanti e grottesche ora convulse e disperate: l’inesorabilità del tempo che passa è evocata fin dai cartelli che mostrano l’avanzare dei minuti, in ciascuno dei quali l’orario scritto lascia immediatamente il posto al minuto successivo, a riprova di come quella sera non ci sia stato proprio il tempo per respirare e sia stato vissuto tutto nella più assoluta, frenetica e inebriante apnea.
Nel ricchissimo cast, guidato da uno squinternato spirito seventies, e in cui si segnalano anche le gustose apparizioni di Willem Dafoe e soprattutto di J.K. Simmons (attore feticcio di Reitman che ha dalla sua una scena assolutamente stracult tutta da scopire), a spiccare sono però i giovani volti, tutti perfetti: Matt Wood, un’eccezionale e perfetto Josh Belushi nel costume da ape con cui si fece conoscere (anche se, come dice lui, non era esattamente ciò che sognava da bambino), la Rachel Senott di Shiva Baby a Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour già ammirato in Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson. Partecipano tutti ben volentieri all’ebbrezza tambureggiante di un film-backstage che restituisce la comicità come pattern indiavolato ma anche come slancio rivoluzionario capace di incidere sulla società e sul costume, perché di questo si trattò col SNL.
Una fucina che ebbe un impatto quasi copernicano nel ridisegnare i confini dell’idea di comedy elaborata fino a quel momento, aprendosi di gran carriera allo sberleffo caustico e all’irriverenza più spietata, peraltro su una rete tradizionale e conservatrice come l’NBS. Senza paura, come il film mostra bene, di vendere la propria anima al diavolo in cambio di una manciata infinita, e destinata a fare epoca, di risate altrettanto indiavolate.
Foto: Columbia Pictures, SNL Studios, Right of Way Films
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