Dal Giappone con (rinnovato) furore. Su Disney+ è iniziata la “messa in onda” degli episodi di Shōgun, miniserie basata sull’omonimo romanzo del 1975, scritto da James Clavell, uno dei molti che negli anni ’80 si è lasciato affascinare dalla passione nipponista che ha travolto l’occidente e ha contribuito a creare quel doppio legame di continue contaminazioni tra Hollywood e il Paese del Sol Levante.
Affascinato dalla cultura giapponese e dai suoi esponenti, Clavell ha dato vita alla sua personale Saga Asiatica con un romanzo di grande popolarità ambientato nel Giappone del 1600: il focus è tutto sull’ascesa al potere del daimyō Yoshi Toranaga (personaggio che trova il suo corrispettivo storico nel realmente esistito Tokugawa Ieyasu), diventato primo shōgun dopo le guerre civili.
Come nel libro e nel primo adattamento del 1980 interpretato da Richard Chamberlain e dall’indimenticabile Toshirō Mifune, a guidare lo sguardo occidentale è il personaggio del navigatore inglese John Blackthorne, vagamento ispirato al primo britannico ad aver raggiunto il giappone, William Adams, la cui storia si intreccia proprio con quella dello shōgun Ieyasu. La moderna sensibilità produttiva è intervenuta però con un lavoro ancora più certosino e rispettoso sulla ricostruzione storica e culturale di questo spaccato medievale, avvalendosi di consulenti pronti a curare ogni piccolo dettaglio.
Il risultato è eclatante: Shōgun si segnala sin da subito come una serie dal forte impatto visivo e narrativo, una sorta di risposta al fenomeno segnato da Il Trono di Spade, anche se qui sarebbe meglio indicarlo come Trono di Sangue per citare uno dei film più famosi di Akira Kurosawa (del 1957), a sua volta ispirato al Macbeth di William Shakespeare. Ci sono gli intrighi, i giochi di potere e un consistente numero di personaggi ognuno con una sua specifica unicità e interesse, che gravitano tutti attorno alla figura del daimyō Yoshi Toranaga magnificamente interpretato da Hiroyuki Sanada (anche produttore) – mentre Cosmo Jarvis nei panni dell’anjin inglese sembra costantemente fuori posto, il che da un lato è filologicamente adatto alla narrazione, ma lo stile recitativo stona non poco: chi si aspetta il Tom Cruise visto in L’ultimo samurai, guardi altrove.
Per approccio narrativo, Shōgun può ricordare quanto fatto da Netflix ormai quasi 10 anni fa con la serie Marco Polo, dove Lorenzo Richelmy ha interpretato il celebre commerciante italiano finito alla corte di Kublai Khan (Benedict Wong). Come tematiche, invece, è più vicina ad un altro fenomeno recente: l’avversione nipponica per lo straniero conquistatore richiama la serie animata Blue Eye Samurai, ambientata nel periodo Edo (successivo quindi alle vicende di Shōgun, quando il Giappone decise di chiudere i propri confini a tutti gli europei.
Shōgun ha tutto per diventare una delle serie dell’anno: epica, poesia, richiami ad altri prodotti di successo e uno sguardo attento verso una cultura in grado di suscitare immediato rispetto, fatta sì di intrighi di potere, ma anche di tutto ciò che rende così affascinante la storia dei samurai e del Giappone. Perché che sia di spade o di sangue, al gioco del trono o si vince o si muore sempre – ma questa volta con onore.
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Foto: Disney+
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