Daniele (il Federico Cesari di Skam Italia) è un ragazzo alle prese con disturbi mentali che lo portano ad un’improvvisa esplosione di rabbia. Dopo una triste serata in discoteca, torna a casa salvo poi ritrovarsi nel letto di un reparto psichiatrico. È stato sottoposto contro la sua volontà e coscienza a T.S.O per qualcosa che ha fatto alla sua famiglia e di cui non ha memoria o che cerca in tutti i modi di dimenticare. Partono da qui i 7 giorni di internamento raccontati in Tutto chiede salvezza.
La serie, diretta e co-scritta da Francesco Bruni, è un adattamento del romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del premio Strega Giovani 2020, che gode del supporto creativo dello stesso autore, da anni in prima linea per divulgare e sensibilizzare riguardo la situazione della malattia mentale in Italia. La data spartiacque per il Belpaese è quella del 13 maggio 1978, giorno dell’entrata in vigore della Legge Basaglia riguardo la chiusura dei manicomi e i trattamenti sanitari volontari e obbligatori (T.S.O, appunto).
Sono passati 44 anni anni e sebbene la sanità abbia cambiato approccio, permane ancora uno stigma nei confronti dei malati psichiatrici, dei matti, dei pazzi. Un vulnus sociale difficilmente superabile perché l’alterità continua a spaventare: chi soffre di queste malattie viene percepito come un corpo alieno al contesto umano, prevalentemente perché le sue (involontarie) difficoltà impediscono di mettere in atto quegli elementari meccanismi di empatia che permettono – nella migliore delle ipotesi – agli esseri umani di comprendersi e supportarsi a vicenda.
«I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base, sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole, i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole» cantava Simone Cristicchi nella splendida Ti regalerò una rosa, brano del 2007 ma ancora attuale quando si tratta di affrontare il tema della malattia mentale. Francesco Bruni (la cui carriera racconta di una straordinaria sensibilità nel mettere in equilibrio dramma e commedia) si è fatto carico di questo compito e, con Mencarelli, hanno gettato una luce su un argomento fondamentale e altamente stigmatizzato.
La serie è intenzionata a riprendere un genere di racconto che ha avuto enormi fortune nella cinematografia. Dal capolavoro Qualcuno volò sul nido del cuculo alla commedia It’s kind of a funny story (in italiano 5 giorni fuori e la serie Netflix ne condivide la stessa struttura narrativa) gli elementi usati per mettere in scena la malattia mentale sono simili: anche Tutto chiede salvezza si addentra nella fredda ciclicità di un ospedale psichiatrico, fatto di turni, di medicine, di regole e di difficoltà logistiche dovute ad una burocrazia attenta a parole ma scarsa nei fatti.
E, naturalmente, ci sono loro: i malati e le loro “stranezze”. Il campionario messo in scena da Bruni e Mencarelli è perfetto non solo per la scelta degli interpreti – da Vincenzo Nemolato al sempre drammaticamente perfetto Andrea Pennacchi, passando per il gigante buono Lorenzo Renzi, in una parte che gli era già riuscita molto bene in Crazy for Football – ma anche per il significato oltre il significante che incarnano.
In un certo senso, i 7 giorni spesi da Daniele nel reparto psichiatrico sono una sorta di Canto di Natale nel quale il protagonista incontra fantasmi del passato, presente e futuro. L’eterno bambino Giorgio, l’irrequieto e represso (da altri) Gianluca, la riflessiva alienazione del tormentato Mario… sono tutte finestre su diverse fasi della vita e difficoltà che il giovane stesso ha affrontato o dovrà affrontare, una volta presa coscienza di sé ma soprattutto degli altri.
La chiave di lettura di Tutto chiede salvezza sta proprio nel superamento della visione del singolo, dell’egoistica convinzione di essere sani in un mondo di matti da mettere da parte, per separare l’erba buona da quella cattiva. Un meccanismo puramente pirandelliano: Daniele prima vede in loro qualcosa di alieno, di risibile, come la vecchia imbellettata teorizzata dal drammaturgo italiano per spiegare la sua nozione di comico, di umoristico e di sentimento del contrario. Solo una volta superata questa barriera, riesce ad abbracciare non solo le loro fragilità, ma anche le proprie.
I matti sono strani, i pazzi fanno paura. Ma capirli, sentirli, aiutarli è anche il primo passo per superare questa abissale distanza che rallenta la crescita dell’umanità stessa verso una società veramente coesa, unita, solidale. Va riconosciuto l’altro, quello che Niccolò Fabi ha descritto come «quello che spaventa, sono quello che ti dorme nella stanza accanto. Io sono l’altro, puoi trovarmi nello specchio, la tua immagine riflessa, il contrario di te stesso». E chiede solo salvezza, amore e compassione.
Foto: Netflix
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