L’orrido peplum d'”Agora” (2009) narrava d’orbit’ellittiche in cui uno dei due fuochi è occupato da un corpo celeste mentre l’altro fuoco resta vuoto, occupato da un corpo solo virtuale. Il film seguiva questa falsariga sbilanciandos’in un’invettiva fondamentalista contro l’oscurantismo religioso e a favore dello scientismo laicista. Amenábar sembr’aver dedicato un quinquenni’abbondante per studiare l’epistemologia dell’ultimo secolo così da riproporsi più aggiornat’e agguerrito che mai con un’eccellent’e imprevista sorpresa: la sua nuov’idea d’ellisse propon’i due fuochi di religione e scienza, mythos e logos, alla pari e per di più ambedue insufficienti. Fors’unicamente dalla loro combinazione può sorger’un tertium diverso e persino risolutivo. “Regression” ha deluso chiunque: 15% su Rotten Tomatoes (media voto 4.2/10), 32% su Metacritic, 1.5/5 su AllMovie, 5.7/10 su IMDb, flop d’incassi. Magari ci s’attendev’il solit’horror soprannaturale della scuola spagnola (Balagueró), oppure quell’approfondimento fra massoneria, messe nere, sètt’e riti satanici sfiorato dall’ultimo Kubrick (“EWS”, 1999) e che la duplice stagione di “True Detective” pareva promettere mentr’invece l’ha evitato quanto la peste bubbonica. Il film d’Amenabár mette le cart’in chiaro sin dal titolo: lo spazio per fideistiche credenze sull’incarnazione del Male è concesso da una scienz’immatura ch’usa strument’infondati, in questo caso basati s’un’inconscia suggestione di massa aka isterica psicosi collettiva. È dura colpire due piccioni con un’unica fava, e il demolire all’unisono “fides et ratio”, quando son’entrambi privi del dubbio metodic’o sistematico, può irritare tanti sia fra il pubblico che fra i recensori. “Cinema sulla difficoltà del mantenere un pensier’autonomo in un mondo che, mediaticament’e socialmente, impone le proprie idee omologat’e standardizzate per aderirvi volenti e non”: l’Atom Egoyan di “Devil’s Knot” (2013) aveva già tentato qualcosa di molto simil’e con risultati paragonabili. Su IMDb la bella rece d’un utente paragona “Regression” a un contraltare di “Spotlight” (2015): stess’incedere cogitabondo, analogo twist final’e denuncia dell’altra faccia della medaglia, la “cacci’alle streghe” o addirittura al Demonio personificato. Il persistere d’un elemento di squilibrio potrebb’essere indiduato nel ruolo della figura femminile: prim’idolatrata l’Ipazia della Weisz, adesso colpevolizzata la Watson. Con tutt’il rispetto per Calderón de la Barca, il regista d’origine cilena continu’a dirsi e a dirci: “Apri gli occhi” (1997).
Mauro Lanari e Orietta Anibaldi