Revenant - Redivivo: la recensione di loland10
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Revenant – Redivivo: la recensione di loland10

Revenant – Redivivo: la recensione di loland10

“Revenant. Redivivo” (Revenant, 2015) di G. A. Inàrritu.
E dopo una (quasi) claustrofobia teatro-cinefila (‘Birdman’) il regista messicano si dà alla pazza gioia esterna con una storia che è un succo di molti e di cui il mistero è presto detto

Ritorno del cinema contro natura e della natura in do maggiore in un susseguirsi di paesaggi, montagne e acque da brivido innevato e da freddo al cardiopalma. Ciò che colpisce è l’assetto della fila di piante che svettano in ogni punto con colori ammuffiti, ingrigiti e gli albori attoniti e spettrali di un mondo ancora sconosciuto.

Ecco che nell’impervio mondo sconosciuto d’America tra il Missouri e i suoi confini infidi, incomodi mondi indigesti e salutari (solo) per oggi, Glass gira come meglio non può conoscendo meglio di tutta la truppa il territorio difficile e impervio da cui trarre profitto cacciando animali per pelli preziose. Ogni vivente è contro, ogni uomo è segnato dalla natura, ogni animale è sentore di puzza di battaglia, ogni cibo è buono pur di sopravvivere, ogni metro guadagnato è pura vittoria, ogni foresta è assioma di freddo lucente e ogni acqua che scorre è sinonimo di avvedutezza mistica. Glass è uno che ci mette tutto per farcelo incontrare e lo schermo asseconda un ‘morto’ che vive continuamente e chiama ‘vendetta’ per un figlio perduto. Un padre che rincorre un confine mai perso anche se ‘la vendetta è nelle mani di Dio’ come viene detto in due momenti nella storia.

Viscerale oltremodo teatralmente interiore(a). La fame da lupi verrebbe da dire colpisce chi si annienta in un vuoto di immagini e pensa di passarla liscia tra lineamenti ardimentosi, orizzonti imperscrutabili, piante allungate verso l’alto, sottofondi cavernosi, nevi insanguinate, polveri notturne e animali accoltellati. Un putiferio di accavallamenti ossimori e l’inquadratura di Inàrritu raggiunge epigoni di grandezza quando il cine-muto la fa da padrone con le musiche Sakamoto-Noto-Dessner che aprono da brivido il paesaggio da conquistare.

E il cacciatore di pelli che sfida tutto con il suo bastone passa tra la condensa fumosa del freddo Nord Dakota (siamo nel 1823) arringa il nostro sguardo che pare volare tra i freddi ghiacci e le nebulose vite nascoste in ogni invisibile sottosuolo. Un orso, un grizzly, uno scontro tra ‘veri animali’ e Hugh Glass (esploratore di genitori scozzesi-irlandesi vissuto tra la fine del’700 e il 1833) ritorna a camminare dopo una ‘quasi sepoltura’ abbandonato da chi non desidera più il suo incontro (John Fitzgerald).

Non vedere più un figlio vivo dà la strada impossibile a un uomo dalle mille risorse e incontrare ‘nemici’ che paiono più vicini di quello che sembra. Il cibo per sopravvivere da bisonti in fuga e una stessa destinazione di un comune uomo da inseguire e ritrovare.

Altro cinema che rinvigorisce e alimenta (con gusto personalissimo) quello di un Kurosawa in mezzo alle foghe dei combattenti e tra i boschi secolari che hanno viva memoria. E’ un ‘Rashomon’(1950) rovesciato dove sappiamo chi ha ammazzato chi e dove ogni inquadratura alimenta la voglia di un nascondi-mento per sempre. E tra i de(re)litti dei cacciatori di pelli e gli indiani che non fanno sconti a nessuno ecco che si apre tanto cinema ‘epico’ americano: quello di Howard Hawks, Arthur Penn ma anche il sentore di una natura invisa come detto in ‘Deliverance’ (1972) di John Boorman. Il fetido è nascosto nell’agonia di un uomo per un incontro che va oltre ogni minima forza rimasta.

Nulla da dire per un cinema che sopprime ogni voglia di minime cose costruite con furbizia e declassamento della settima arte. Lo schermo e le sue immagini riempiono ogni nostra curiosità su terre e luoghi inesplorati dallo spettro della luce del regista messicano.

Tremante e sicuro Hugh Glass arriva alla fine (del lungo viaggio) a rincorrere il suo ‘mostro’ correndo tra posti innevati e vegetazione colmata di ghiaccio (un inseguimento carico che fa pensare al Kubrick di ‘Shining’) per un labirinto di odio che acceca ogni vista del tutto. Ma la vendetta è lì ad attendere per un figlio ucciso.

La coppia DiCaprio-Hardy regge il film oltre ogni inquadratura con un Leonardo che si immedesima in Glass fino alle estreme conseguenze fisiche e ambientali (oltremodo da applausi) mentre Tom mantiene la sua ferocia cattiva con uno sguardo (anche incline al verso stereotipato) feroce e truce. La battaglia umana in un’agonia senza sosta. Il personaggio Glass è fenomenale quando il film respira per buona parte il silenzio della sua voce e il sottofondo musicale dietro una natura ‘minacciosa’: un grande mutismo recitativo.
La fotografia di Emmanuel Lubezki è di un’efficacia che lascia senza fiato: la regia di A.G. Inàrritu segue il corso della natura e dei luoghi con spirito ‘combattivo’.
Voto: 8½/10.

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