Sergio (Sergio Castellitto) e Sabrina (Sabrina Ferilli), un carpentiere e un’ex cantante, sono una coppia di amanti molto innamorati, ma non possono lasciare i rispettivi compagni a causa delle ristrettezze economiche delle loro vite. I colleghi di Sergio, che lavora in un cantiere, gli tirano uno scherzo crudelissimo facendogli credere di aver vinto tre milioni di euro alla lotteria, illudendolo di poter dare un’impennata decisiva alla sua esistenza.
Si chiamano Sergio e Sabrina, Castellitto e la Ferilli, nel nuovo film di Francesco Micciché, figlio del grande critico e studioso cinematografico Lino. Dopo l’esordio Loro chi? con la coppia formata da Edoardo Leo e Marco Giallini, il regista si è concesso un omaggio ancora più sfacciato alla commedia all’italiana.
Non certo una novità per gli orizzonti commerciali del nostro cinema, ma amplificato in questo caso da due attori alle prese, fin dai nomi, con delle versioni potenziate di loro stessi: popolana dal cuore d’oro la Ferilli, cialtrone dalle scatenata moine gassmaniane (ma anche sordiane, a questo giro) Castellitto, truffaldino ma anche lui tutto sommato bonario. Un facitore di papocchi, si direbbe in gergo dialettale, con un pedigree di menzogne e affari da buontempone da far impallidire chiunque.
Il road movie che Micciché costuisce intorno a loro e alla loro famiglia allargata ha molto della mano fluida e pirotecnica di Fabio Bonifaci, sceneggiatura assai avvezzo a un modello di farsa molto oliata nei singoli passaggi e meccanismi, con un gusto per le coloriture a effetto e per la ronda di di situazioni sempre sul punto di esplodere (Benvenuto Presidente! e il più recente Metti la nonna in freezer, che recano entrambi la sua firma, sono lì a testimoniarlo).
Ma a svettare è soprattutto Castellitto, in formissima dopo l’esplosivo Il tuttofare, che intorno ai suoi travestimenti e camuffamenti da avanspettacolo cuce su misura l’intero film. Il suo personaggio, come tante maschere ingenue e misere della commedia nostrana dalla grande tradizione, piene di velleità e inconsistenza, è la colonna portante del copione e dello sgargiante e variopinto look visivo di Ricchi di fantasia, intagliato intorno ai suoi eccessi contagiosi, da saltimbanco dell’arraffo, da artista di strada del tirare a campare.
Non a caso il film è un family movie in camper, con la solita gita in Puglia in cui le ambizioni fanno i conti con la dura realtà, con l’affabulazione del dover far credere di essere ricchi, quando in realtà non si ha una lira, con la necessità di continuare a essere, nonostante tutto, uomini onesti, limpidi e innamorati. Perché se si afferma che «l’amore è un sentimento passeggero, come insegnano tutte le fiction del mondo tranne quelle di Rai 1», è vero anche che i soldi sono quanto di più tangibile, concreto e ancorato a bisogni profondi, in grado di lasciar filtrare come feritoie impietose pregi e difetti, virzì e virtù. Soprattutto quando non ci sono, e non si intravede il becco di un quattrino.
Il film, senza uscire dal suo tracciato solare e timidamente accogliente, fatto di battute e effetto e situation comedy di prammatica, parla proprio di questo, lasciando alla bidimensionalità da fumetto il racconto delle nuove generazioni (il personaggio di Matilde Gioli, ex missionaria svampita in Iraq, ereditiera alla bisogna) e concentrandosi piuttosto sulla polvere sotto il tappeto di una generazione arrivista ma grossolana, egoista e immemore, tragicamente dimentica delle porte del futuro che si sarebbero aperte anche per lei, prima o poi, invocando il proprio tributo.
Il finale, che ovviamente non sveleremo, è poi una zampata affettuosa che fa letteralmente carta straccia di ogni speranza. Ma col sorriso, con un candore straziante e pieno di ombre che, con le dovute e doverosissime proporzioni, non sarebbe dispiaciuto a Ettore Scola, uno che di personaggi che per salvare la faccia dovevano rischiare di perderla se ne intendeva. Una smorfia amara, commiserante, rassegnata, ma palesemente tenera, che anche grazie all’utilizzo di Su di noi di Pupo si solleva dalle beghe e dai tormenti del presente per immaginare chissà quali orizzonti tutti da tracciare.
Nei sogni proibiti di due innamorati, nel posto più bello che c’è.
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