Mastandrea ha dilapidato la propria carrier’attoriale gettandosi, con cocciuta generosità, in pasto a qualsiasi esordiente indie italiano. Per una mezza dozzina di film che hanno segnato la storia del nostro cinema degl’oltre ultimi 20 anni, una montagna di progetti che pretendevano di reggersi appoggiandosi esclusivamente a lui. Passato “dall’altra parte”, inanella la lista completa degl’errori da debuttante: un “tinellismo” com’ormai non si vedeva più da lustri, sul set sempre due o max tre personaggi, qualche parola sbocconcellata e tanto troppo silenzio giusto per (non) evitare la retorica del lutto, una protagonista fotogenica e antipatica (la sua compagna nella vita vera), uno Stefano Dionisi che risuscita l’opera con la propria semplice presenza (una fanìa) per poi scomparire pure lui fra scene madre a ripetizione, una colonna sonora invadent’e ruffiana, una sceneggiatura sciatta (né sapida né amara, né politica né privata, con 3 generazioni sbrigativament’a confronto). Delicato? No, esiguo. Un pessimo primo passo falso, uno di quelli che ha già fatto chissà quante volte supportando decine di principianti volenterosi e irrisori.
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