RoboCop: la recensione di Gabriele Ferrari
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RoboCop: la recensione di Gabriele Ferrari

RoboCop: la recensione di Gabriele Ferrari

Il nuovo RoboCop è più figo del vecchio. Bastano pochi minuti per capirlo: dove l’Alex Murphy di Peter Weller veniva crivellato di colpi e lasciato mezzo morto in mezzo a un vicolo prima di venire cyber-salvato, quello di Joel Kinnaman non solo sopravvive alla sparatoria senza un graffio, ma fa in tempo a tornare a casa e spogliare (quasi) completamente Abbie Cornish prima di venire interrotto sul più bello da un attentato dinamitardo che lo trasforma in un guscio d’uomo, che solo la scienza (con la faccia di Gary Oldman) è in grado di salvare da morte certa.

Anche tutto ciò che ruota intorno al nuovo RoboCop è più figo. I laboratori della Omnicorp (fu OCP) dove il cyberpoliziotto prende vita sembrano usciti dal sogno dell’architetto di fiducia di Tim Cook. La tuta di RoboCop è nera, aerodinamica, senza sbavature. Persino i mech a uso militare, con cui Murphy si scontra nella sequenza di combattimento più breve della storia, sono prodigi di design, tutti curve e superfici cromate. Gary Oldman nei panni dello scienziato Dennett Norton, il creatore di RoboCop, sembra ringiovanito di vent’anni, e la sua assistente (Aimee Garcia alias “la sorella di Batista in Dexter“) è tanto inutile quanto deliziosa per gli occhi.

RoboCop 2014, per farla breve, è più figo, più bello, più curato, più pulito del film di Paul Verhoeven. E un po’ più vuoto. Se il canovaccio è lo stesso – Alex Murphy muore e risorge sotto forma di RoboCop, Alex Murphy sgomina il crimine, Alex Murphy viene tradito, Alex Murphy ritrova la sua umanità e sconfigge i cattivi –, e la cornice è di lusso, sono i contenuti che vengono spesso a mancare. L’idea di José Padilha, enfant prodige del cinema brasiliano che qui prova a costruirsi una carriera tra i grandi dimostrando quantomeno una certa creatività quando si tratta di girare scene action, è di non riproporre le stesse tematiche del film dell’87, ma di aggiornarle alla sensibilità odierna: consumismo selvaggio e media corrotti passano in secondo piano, scompaiono anche le tematiche cristologiche introdotte da Verhoeven e l’analisi su cosa significa essere uomo (e maschio: RoboCop è sempre stata anche un’analisi sul concetto di mascolinità). Al loro posto, le megacorporazioni che prosperano non più nonostante lo scorno della gente, ma con il loro benestare (la Omnicorp diventa anche un istituto di beneficenza e cura dei malati), la corruzione nelle forze dell’ordine, la percezione pubblica della figura dell’eroe e last but not least l’annosa diatriba sull’esportazione della democrazia da parte degli americani.

Dove però il film di Verhoeven discuteva dei suoi temi tra una sparatoria e l’altra, e lo faceva con una cattiveria affilata come un rasoio, il RoboCop di Padilha sembra un manuale di disagio sociale: invece che suggerite, le tematiche vengono sbandierate in finti telegiornali crudamente satirici (condotti da un Samuel L. Jackson sempre più schiavo di se stesso) o messe in bocca ai personaggi in dialoghi superficiali e sbrigativi. Anche il dualismo uomo/macchina, che teoricamente dovrebbe acquistare più peso con la scelta di mantenere la moglie di Murphy come personaggio centrale della vicenda, viene liquidato in due scene, senza troppe spiegazioni né spinte emotive. RoboCop nasce essere umano, diventa robot rigidamente controllato dai suoi sistemi, ritrova la sua umanità per motivi non meglio specificati: più che di progressione narrativa si può parlare di lista della spesa.

Non che RoboCop non si lasci guardare, anzi: i 130 milioni di budget si sentono tutti, gli effetti speciali sono da Oscar e Padilha, che si è fatto le ossa girando concitate scene di guerriglia urbana nelle favelas di Rio, dirige con gusto e mano salda. Oldman tiene il film in piedi da solo, Michael Keaton (Raymond Sellars, il CEO di Omnicorp) è sempre una grande faccia da cinema e Jackie Earl Haley nei panni del militare con scarsa fiducia nei robot si guadagna un ruolo inaspettatamente ricco e ben interpretato. E più in generale, RoboCop è specchio perfetto dei tempi che corriamo, e che corre il cinema di fantascienza: formalmente impeccabile, commercialmente vendibile anche ai più giovani perché “nuovo”, ha la stessa portata rivoluzionaria dei vari Elysium e Oblivion; la patina c’è, il potenziale per il successo anche, quel che manca è la sostanza, o anche solo un po’ di cuore. Se non siete cresciuti con il film dell’87, c’è comunque caso che questa nuova versione vi conquisti.

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Mi piace
Esteticamente il film è inattaccabile, e Gary Oldman e Michael Keaton danno vita a due personaggi interessanti.

Non mi piace
Persa per strada la cattiveria e la ferocia dell’originale, rimane solo una bella confezione ripiena di contenuti banali.

Consigliato a chi
Non ha amato l’originale, o addirittura non lo conosce: questa è la versione del 2014, questa è quella di cui si innamoreranno i più giovani.

Voto: 3/5

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