Room: la recensione di Lello
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Room: la recensione di Lello

Room: la recensione di Lello

Sottovalutato agli Oscar dove riporta solamente la statuetta alla miglior attrice per Brie Larson, Room è a mio parere il miglior film del 2015.
La storia può essere letta da due punti di vista, che poi sono quelli dei due protagonisti del dramma. Mentre per la giovane madre la fuga dalla stanza e l’ingresso nell’ormai nuovo mondo è un ritorno alla civiltà e alla normalità, per il piccolo Jack esse rappresentano l’uscita dalla fanciullezza verso l’adolescenza. La regia di Abrahamson, tuttavia, si schiera a favore della seconda. La telecamera ad altezza bambino e le riprese offuscate o semi-coperte dai lunghi capelli del piccolo ci suggeriscono che il vero protagonista è Jack.
Il film si autodefinisce, dunque, come un film di formazione e di crescita interiore dove il giovane esce dalla sicurezza familiare (la stanza che dalle prime riprese sembra enorme) e si confronta con le difficoltà del mondo (il sole che nei primi momenti è accecante, reso dalla telecamera con una inquadratura instabile e sfocata) per poi ritornare nell’ambiente sicuro e riscoprirlo soffocante (la stanza alla fine è compresa in una singola immagine).
Struggente è il personaggio di Brie Larson, Joy, che vede nella fuga l’unica via di salvezza e poi si ritrova abbandonata da tutti: dalla famiglia ormai separata e dalle amiche di cui non si sa più nulla. Il vero dramma per lei non è la prigionia, ma la desolazione al di fuori della gabbia.
Purtroppo ci sono molti punti morti che appesantiscono la storia, annoiando, ma nel complesso è un film potente e commovente che ci ricorda di vedere il mondo con la semplicità degli occhi di un bambino.

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