“Sacro GRA” è l’opera di Gianfrando Rosi che questo 7 settembre ha riportato in Italia, dopo 15 anni, il Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Leoni, orsi, o palme che siano, la prima e più importante domanda da porsi, nel prendere in considerazione questa pellicola per una serata al cinema è: “Mi piacciono i documentari?”
Se la risposta è si, probabilmente lo adorerete, in caso contrario, fateci un bel crocione sopra e passate all’opzione successiva.
Il “sacro GRA” differisce dal leggendario Graal per più di una vocale. Il termine sta per Grande Raccordo Anulare, la tangenziale che abbraccia e circonda Roma così come, si dice, i suoi anelli fanno con Saturno.
Attraverso il proprio lavoro Rosi ci descrive come la vita, e non solo il traffico, scorre attorno alla celebre autostrada.
Un ritratto di Roma sicuramente inusuale.
Quando pensiamo alla capitale, così come ad altre città quali ad esempio Parigi, l’immaginazione non procede oltre il suo lato magico.
Nella nostra testa appaiono l’Impero romano, Fellini, Audrey Hepburn e Gregory Peck in vespa, il cinema, Michelangelo…
Ma Roma ha anche un lato materiale e terra terra che conosciamo molto meno. Ed è quello che il regista ha portato sul grande schermo.
Personalmente non sono un’appassionata di documentari e questo frena il mio entusiasmo nei confronti dell’importante riconoscimento ricevuto, ma il film di Rosi è indiscutibilmente molto interessante e ben fatto.
Con la macchina da presa bussa a molte porte e chiede qualche ora di ospitalità per poter raccontare una storia diversa, più vera.
Una verità che non manca di qualche guizzo di ironia strappa-risate.
Se quindi, in quanto al genere, appartenete alla schiera degli indecisi, credo che una possibilità la meriti tutta.