Lontano da qualsiasi riferimento leggendario, il Sacro GRA che racconta Gianfranco Rosi (nome in codice per Grande Raccordo Anulare) è la più estesa autostrada urbana d’Italia. 70 km che il cineasta ha percorso – e in cui si è perso – a bordo di un mini-van. Un lavoro d’esplorazione e di scoperta durato oltre due anni, durante i quali ha incontrato persone, conosciuto realtà, fotografato mondi, “violato” domicili, dato voce a chi (letteralmente) vive ai margini, seguendo i passi che il paesaggista Nicolò Bassetti aveva già mosso prima di lui. Sua l’idea di consegnare questo bagaglio di esperienze nelle mani di un maestro del cinema del reale perché ne traesse un racconto (per il documentarista si tratta del primo lavoro su commissione).
Nasce così il progetto SacroGra, che oltre al film – il primo documentario italiano in Concorso e per di più vincitore del Leone d’Oro nella storia della Mostra del Cinema di Venezia – prevede un libro (scritto da Bassetti e corredato da foto curate da Massimo Vitali; uscirà in autunno edito da Quodlibet), un sito web e una mostra.
Un’opera eccentrica – perché di storie eccentriche si nutre –, che non ha alcun secondo fine se non quello di far conoscere, così com’è, l’umanità inedita e altrimenti invisibile che vive ai bordi di quel rumoroso fiume di macchine, così privo di identità.
La geografia umana che compone il Sacro GRA di Rosi un’identità invece ce l’ha, e pure molte forte. Sbirciando dalle finestre o entrando dalla porta principale, conosciamo un nobile piemontese e la figlia laureanda, stipati in un monolocale di un moderno condominio, circondato non solo dal traffico stradale ma anche da quello aereo; un palmologo che, munito di sonde, ogni giorno cerca di combattere le larve che si insinuano nel cuore delle piante, divorandolo; un anguillaro, che vive su una zattera ancorata lungo il Tevere; un attore di fotoromanzi, retaggio della Roma cinematografica di un tempo ossessionata dalla ricerca della fama, che sa posare davanti all’obiettivo ma non usare i congiuntivi; un barelliere in servizio sull’ambulanza, che sfreccia sul Raccordo per offrire soccorso; un moderno principe dal sigaro perennemente in bocca che vive nel suo castello proprio in corrispondenza di una delle uscite dell’autostrada; prostitute agèe di stanza in un camper che mangiano prosciutto e cantano Gianna Nannini.
Rosi li riprende in scorci di vita quotidiana, usando la macchina da presa in modo obiettivo ma al contempo partecipe, trasformandoli involontariamente in personaggi che camminano sul confine tra realtà e finzione, ma mai lo valicano. Alternando le loro vite alla fotografia, meravigliosa, di quel paesaggio desolante. Ossimori di una realtà che esiste davvero e che sa essere talvolta drammatica (la strada spesso lascia sull’asfalto macchine accartocciate e corpi feriti), surreale (come la guerra che il palmologo dichiara a quei micidiali insetti), tenera (vedi la preoccupazione del nobile piemontese per la figlia che non ha ancora trovato un fidanzato), divertente (come gli sproloqui sulle proprie occasioni sessuali da parte dell’attore di fotoromanzi o le critiche che l’anguillaro muove ai giornalisti che scrivono idiozie).
Una ricchezza che incuriosisce e lascia sconcertati e proprio in questo dualismo rivela la sua bellezza. Che Rosi sa esaltare da maestro qual è. 93′ di una Roma inedita (frutto di un lavoro di montaggio lungo otto mesi) che vale la pena di essere scoperta.
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Mi piace
La bellezza desolante che Rosi riprende, esaltando la natura contraddittoria del paesaggio e di coloro che lo abitano. La regia capace di scovare l’essenza cinematografica della realtà.
Non mi piace
Un paio di sequenze eccessivamente retoriche e “furbe”.
Consigliato a chi
Vuole conoscere l’altra faccia della “Grande Bellezza”.
Voto
4/5
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