L’ipotesi del sottotesto biblico contro LA e Frisco nuove Sodoma e Gomorra lascia il tempo che trova, considerando quant’il film accatasti “lo scienziato che ha capito tutto e cerca d’avvisare la popolazione, […] un matrimonio in crisi risollevato dalla circostanza straordinaria, […] un protagonista con un trauma da esorcizzare, […] una storia d’amore che sboccia nell’apocalisse, […] la distruzione d’elementi urbani storici, […] il patriottismo [ch’]esplode alla fine con le bandiere statunitensi sventolanti”, “la dinamica esasperata del salvataggio all’ultimo secondo”, i personaggi principali ch’escono da ogni situazione incolumi o al massimo impolverati. Quest’apoteosi dei disvalori classici, conformistici e reazionari sarebbe stata ripugnante pur’ambientata nel deserto del Gobi. Il regista Peyton impiega Dwayne Johnson com’unico nome di richiamo in un anti “all-star cast”, m’anche “The Rock” è, ancora una volta, un “eroe per caso”, spaesato in un ruolo che non gl’appartiene e che non sfrutta alcunché del suo potenziale neo-Schwarzy. “‘San Andreas’ è un ‘disaster movie’ vecchio stile. Forse troppo vecchio stile.” Oé, scherziamo? In un passato nemmeno tanto lontano sono state prodotte e girate opere catastrofiche che non si reggevano solo con la CGI e con un plot scritto s’un coriandolo. Blockbuster e kolossal erano un fuoco d’artificio di trovate di sceneggiatura e di dialogh’indimenticabili, mentre “San Andreas”, “più [narra e] distrugge, più gener’assuefazione a [storia e] immagini invece che stupore.” Memorabile solo per chi non ha memoria a causa di ragioni anagrafiche? Il grafico dello “user rating” su IMDb non avvalora tal’ipotesi, il voto medio è distribuito con impressionant’omogeneità (http://www.imdb.com/title/tt2126355/ratings). Dunque? È avvenuto, fra Spielberg e Bay e in Cameron stesso, una riduzionismo semplicistico che ha annientato qualunque valor’aggiunto. Si pensi a Peyton quando fa rianimare la Daddario come Harris con la Mastrantonio in “The Abyss” (1989). Eppure qui non c’è pathos, o forse bisognerebbe dire che c’è ma è dato dalla “tensione per la sopravvivenza”, quasi che tutt’i i generi cinematografici, “disaster movie” inclusi, fossero diventati sottocategorie del “survival”, dell’arte dello sfangarla giorno dopo giorno. Segno dei tempi? Dicevo che poi è stato proprio Cameron a codeterminare questa svolta nel 2009 con “Avatar”. Eliminato il superfluo e dritti all’osso, cioè al punto nevralgico, problematico e dolente?
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