1943, Guerra del Pacifico. Mahito è un bambino di dodici anni che perde la madre in un incendio nell’ospedale dove è ricoverata. Il padre, proprietario di una fabbrica che produce munizioni e componenti di ricambio per l’aviazione militare, si risposa con la sorella più giovane della moglie e decide di trasferirsi con il figlio in campagna, lontano da Tokyo, dove i bombardamenti non arrivano e la guerra è un’eco lontana. Ma i ricordi della madre tormentano Mahito e i compagni di scuola, figli di famiglie contadine, non lo accettano. Fino a che il bambino non fa la conoscenza di un bizzarro airone grigio, capace di parlare, che lo conduce in un mondo fantastico, dove forse è intrappolata l’anima della mamma.
Non è il film-testamento che molti si attendevano l’ultimo, probabilmente in tutti i sensi, film di Hayao Miyazaki, che ha aperto il San Sebastian Film Festival subito dopo il Gala di apertura, a cui Best Movie era presente. Il ragazzo e l’airone unisce suggestioni tipiche del cinema del maestro giapponese e sembra incrociare Si alza il vento e La città incantata, iniziando con una forte adesione autobiografica ma fuggendo presto verso gli orizzonti immaginifici che sono da sempre il tratto più riconoscibile del suo cinema.
Le condizioni del giovane Miyazaki e di Mahito coincidono quasi letteralmente: suo padre riforniva effettivamente con la sua fabbrica l’aviazione durante la seconda guerra mondiale, e la famiglia ne beneficiava, rimanendo protetta e distante dal conflitto, una dinamica alla base dei sensi di colpa che il regista avrebbe coltivato per tutta la vita. Miyazaki inoltre non perse la madre in giovane età ma, a causa di una lunga malattia (tubercolosi spinale), la vide in ospedale per anni. I suoi mondi di fantasia sono sempre stati in questo senso una strategia escapista e il tentativo di ricostruzione di un ordine morale dei ricordi, nel caos della storia e del mondo.
Il romanzo del 1937 How Do You Live? di Genzaburō Yoshino, che è alla base del film, è una raccolta di consigli di vita e suggestioni che un uomo dà al nipote quindicenne dopo che quest’ultimo ha perso il padre, ma rimane poco più che un pretesto. Il libro infatti compare come un regalo della mamma di Mahito, che il figlio trova per caso nella sua stanza quando è già morta. La sua eredità. Il rispetto di Miyazaki per il testo è evidente e sembra tale da avergli consigliato un “non-adattamento” o comunque un’ispirazione più sentimentale (nel film compare effettivamente la figura di un vecchio zio che governa i destini del mondo fantastico) che narrativa. Se parliamo di struttura, infatti, Il ragazzo e l’airone non è altro che una nuova variazione su Alice nel paese delle meraviglie, con tanto di Regina di cuori ed esercito di carte, in questo caso sostituiti da un esercito di pappagalli carnivori e dal loro Re.
Nella “tana del bianconiglio”, tuttavia, Mahito trova le memorie della sua infanzia, un nuovo legame con la madre, una diversa consapevolezza delle intenzioni del padre e un’idea di convivenza con il futuro, come se Miyazaki operando sul suo giovane protagonista avesse operato anche sull’anziano se stesso (ma i ricordi non invecchiano), attraverso la forma del coming of age. Il film chiude così in modo vitale e ottimista, non testamentario, appunto, ma frontale, aperto al mistero dell’esistenza e all’idea della morte come traccia di altri universi.
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