La Disney è una di quelle multinazionali così spaventosamente grandi che anche se fa ciò che fanno tutte le multinazionali – cioè provare a portare il mondo dalla sua parte, renderlo simile a se stessa – inquieta per forza un pochino di più. E a maggior ragione se consideriamo che commercia in storie, ha la nostra fantasia come campo da gioco e terreno di conquista. In un’epoca però in cui la Marvel è Disney, Star Wars è Disney, la Pixar è Disney – e ogni cosa assomiglia a tutte le altre – l’omologazione riesce stranamente a dare risultati inaspettati quando è elevata al quadrato, ovvero quando vengono rimesse le mani sulla storia stessa della casa di Topolino.
Capita allora che un film che nasce per celebrare i 50 anni del capolavoro Mary Poppins venga concepito non come un sequel o uno spinoff, ma come un dietro le quinte romanzato della creazione. Anzi, come un dietro le quinte della sua stessa storia aziendale, dove si mette in scena papà Walt come tutti l’abbiamo immaginato, per lo meno prima di diventare abbastanza grandi e realisti da cercare sempre l’orco dietro ogni volto rassicurante. Ovvero paffuto, comprensivo, sornione, sorridente (il dettaglio dei biglietti da visita pre-firmati che distrubuisce ai fan è meraviglioso). E con la faccia rassicurante di Tom Hanks.
Qui, in particolare, Mr.Disney deve convincere l’autrice dei libri sulla tata volante a cedergli i diritti per il film. Pamela Lyndon Travers (Emma Thompson), così si chiama, è però un osso duro. Cresciuta in Australia ai confini di qualche deserto, con una mamma depressa e un papà ubriacone, ha scritto quei romanzi come una promessa di felicità mai mantenuta, come una medicina per il suo passato. E non se la sente di dare tutto in mano e in pasto alla Disney, alle sale, al pubblico.
Il corteggiamento di Walt a Pamela assume prima le forme del convolgimento della donna nel processo creativo (scenografie, costumi, canzoni: ogni gesto che forma il film deve avere la sua approvazione). Poi, quando casca il palco – niente può guarire i ricordi di Mrs.Travers, e nulla può dunque indurla a vendere la sua storia – il corteggiamento diventa una prova d’amicizia e una specie di seduta di psicanalisi. Una questione, in definitiva, di pura fiducia e comprensione. E a chi altro affidarsi se non al papà di ogni fantasia animata?
Ecco perché il film si chiama Saving Mr.Banks, e non “Mary Poppins Qualcosa”: Mr.Banks è – era – il papà di Mrs. Travers, ed è lui – interpretato da Colin Farrell nei molti flashback che raccontano l’infanzia della scrittrice – il centro di questo dramma gentile su una bambina che, crescendo, non si è mai liberata dal suo passato (ovvero, direi, un dramma su ciascuno di noi). Capace di riservare molti sorrisi e, alla fine, anche più lacrime. Cinema come ormai si fa di rado, semplice e dritto, pieno di recitazione, con il trucco e il parrucco come effetto speciale; ma fatto di nuovo, in omaggio ad altri tempi e altri gusti, per la gloria di Mr.Disney. Gusti che forse coviamo ancora da qualche parte, se poi in sala ti ritrovi circondato all’improvviso di adulti e ragazzini con il fazzoletto in mano.
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È una storia che conquista per la sua semplicità, figlia di un cinema quasi d’altri tempi e con un’immensa Emma Thompson.
Non mi piace
I flashback che raccontano l’infanzia di P. L. Travers/Emma Thompson sono ridondanti e appesantiscono troppo il film.
Consigliato a chi
Ha voglia di sognare, di emozionarsi e di lasciarsi catturare dalla magia del cinema.
Voto: 4/5
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