“Segreti di famiglia” (Louder Than Bombs, 2015 -Norvegia, Francia, Danimarca, Usa-) è il del regista norvegese (nato a Copenaghen) Joachim Trier.
Di fronte a chi esce dalla proiezione gridando (o quasi) con entusiasmo di aver visto un ‘film bellissimo e vicino al capolavoro’ (rispondendo alla signora dei biglietti che gentilmente ha chiesto un parere scanzonato a una sua amica, credo almeno, nella speranza di avergli consigliato bene….), di fronte a tali cose sentite ogni discorso pare inutile per una pellicola.che si lascia vedere certamente ma che crea qualche fastidio per quello che avrebbe potuto dire di più considerando la buona vena registica.
Una storia a quattro personaggi: una madre che vive solo nel ricordo (e lascia traumi dappertutto), un padre che cerca di togliere l’irreparabile e si rifugia nel più classico dei cliché (amare la professoressa del figlio), un figlio maggiore sconosciuto che cerca di conoscere la sua famiglia, un figlio minore perdente che ritrova se stesso (con un finale fin troppo ovvio) per scusarsi con tutti (‘sto bene non preoccuparti’….meno male si direbbe ai titoli di coda…).
Un film alla ‘Inàrritu’ verrebbe da dire (pensando agli incastri con i punti di vista delle persone, una ‘Babel’ familiare …), un film sui volti interiori con la m.d.p. che cerca di entrare dentro al gusto di ciascuno. Certo gli attacchi (tra le finestre) non sono sempre ideali o meglio difficilmente si possono collocare volendo interagire simultaneamente con tutti e quattro i ruoli: infatti per forza di cosa i contatti umani (e quindi di regia) sono in continua fibrillazione. E l’amalgama introspettivo di ognuno con l’altro è (quasi) ingestibile: le differenze si notano con contrasti tra ripresa e recitazione, storia e diversità. Ognuno gioca al meglio ma il film sembra non decollare mai (oltre le intenzioni che appaiono buone).
E certo che Conrad (Devin Druid) ha da dire molto al regista e a noi: forse si esprime male e/o lo scritto non glielo permette in modo efficace (il ruolo di bastonato di turno gli riesce anche bene ma certo le ‘bizze’ narrative costringono il ragazzo ad un modo di porsi consueto e standard): e al vedere e sentire tale nome, la memoria torna ad un’altra pellicola (“Ordinary People”, 1980, di Robert Redford dove un altro Conrad (Timothy Hutton, che ottenne Oscar come attore non protagonista) si scontrava con se stesso per la morte in un incidente del fratello maggiore mentre nel film di Trier è la morte della madre che procura disastri nel figlio.
Festa non è proprio il caso di dirlo: tutt’altro; la casa Reed è fuori da una buona ricreazione.
Adolescenza è un brutto periodo per il figlio Conrad che si dimena tra silenzi e musica ad alto volume, scritti personali e fughe dagli incontri.
Musica e ballo per slegare i muscoli e smontare ogni residuo interiore; un articolo vero, la vita di una madre, un giornalista conosciuto, le certezze che svaniscono (per sempre).
Isabelle Reed (Isabelle Huppert) diventa una perdita con molte bugie; per Gene (Gabriel Byrne) e per i figli una scoperta pezzo per pezzo, fotogramma per fotogramma. Una vita chiusa che apre solo segreti.
Guerra è quello che racconta ma essa scivola via con pochi scatti e poche immagini: la vera guerra è quello che non ha mai fatto vedere in famiglia.
Leggere il film in tante sfaccettature e tanti punti di vista come un puzzle impazzito…senza un pathos dirompente e una struttura narrativa integra.
Incidente come un lungo flash-back nascosto dentro le stanze e le storie di ciascuno.
Accattivante prospettiva su ognuno quello che la macchina da presa riesce a riprendere giocando (confidenzialmente) con i sentimenti irrisolti dei personaggi (e del film).
Una regia di livello che non trova pane per i suoi denti con attori in parte ma che non riescono a dare il massimo (per mancanza di prospettiva di scrittura); e il finale appare debole con ‘sto bene’ detto troppo semplicemente dal figlio al padre. Il duo Byrne-Huppert naviga bene recitando con sano mestiere.
(ps: nel 2009 ‘Tetro’ di F.F. Coppola e nel 2015 “Louder Than Bombs” -letterale ‘Più forte delle bombe’- di J. Trier escono con lo stesso titolo italiano “Segreti di famiglia”, appunto: vai a capire chi ingegna i titoli in Italia?!…).
Voto: 6/10.