Rifugiarsi nella fantasia non tanto per evitare la dura realtà, quanto forse, solo per poterla comprendere meglio e imparare, infine, ad accettarla. Il nostro protagonista è Conor, un bambino costantemente bullizzato a scuola e alle prese con una madre affetta da una malattia terminale. Ogni sera, a fargli visita è una mostro antropomorfo che lo aiuterà, attraverso le sue storie, a compiere un percorso di crescita e autoconsapevolezza, facendogli infine ammettere quella dolorosa verità che per tanto ha cercato di tenere dentro di sé.
Sette minuti dopo la mezzanotte riporta J.A. Bayona nei territori dark di The Orphanage, ma stavolta, l’autore spagnolo ci regala una fiaba tutta virata sui sentimenti. Non solo il nostro dimostra nuovamente di avere il totale controllo delle sue immagini (particolarmente interessanti sono ad esempio le trasposizioni delle storie narrate dalla creatura), ma cosa ancor più importante, realizza un film capace di trasmettere un avvolgente calore che arriva a toccare le corde più emotive degli spettatori. Qualcuno lamenterà – come accade sempre ogni qualvolta ci sia uno strappalacrime – l’eccesso di enfasi volto a far piangere il pubblico, ma a trasparire dall’opera è soprattutto un senso di genuina trasparenza e sincerità, un approccio candido e delicato che mai per un momento ti fa sentire ricattato e con le spalle al muro, merito anche di un cast perfettamente in parte a iniziare dal piccolo Lewis MacDougall.
Un coming of age carico di sentimenti; un fantasy avvolto da suggestive ombre; un’elaborazione del lutto che stringe il cuore: Sette minuti dopo mezzanotte è tutto questo, cinema come pura emozione e allegoria, come riflesso empatico e purificante catarsi. Non dimenticate di portarvi i fazzoletti.
Mi piace: La genuina trasparenza che porta – senza ricatti – alla commozione
Consigliato a chi: Ama piangere senza vergogna al cinema
Voto: 4/5
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