Si alza il vento: la recensione di luca ceccotti
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Si alza il vento: la recensione di luca ceccotti

Si alza il vento: la recensione di luca ceccotti

A volte percorriamo strade che nella loro tortuosità ci fanno apparire inadeguati ad esse. Tempo e fatica sono si dalla nostra parte, ma tutto ciò che effettivamente possiamo percepire è la nostra inadeguatezza.
Perché una strada lunga e difficile spaventa e fa riflettere.
Eppure, quando l’amore e la passione superano di gran lunga quelle che sono le nostre capacità, allora queste ultime crescono a dismisura proprio nel tempo e con fatica, e ci danno modo, pian piano, di sentirci adeguati a quelle strade che conducono ai nostri sogni.
E allora si comincia a camminare con costanza, con la consapevolezza di metterci tutta la nostra forza. La stessa forza e costanza che Jiro Horikoshi dimostrò per tutta la sua vita, almeno così come viene raccontata e romanzata in Si alza il vento, ultimo, immenso capolavoro d’animazione dello studio Ghibli e personale saluto al grande schermo del Maestro Miyazaki.

Una pellicola potente, che racconta una storia di sogni e amori, passioni e sacrifici, che incanta per la sua magia e un’immane bellezza stilistica, molto legata alla paesaggistica e ad un uso eccezionale dei colori.
Si alza il vento è forse l’espressione più alta e poetica della delicatezza di Miyazaki, coadiuvata nella storia anche da una sorta di malinconica dolcezza, che vive, respira e cresce con e per i personaggi.
Jiro è l’archetipo del sognatore: volenteroso, appassionato e con dei sani ideali che non tradirà mai per tutta la sua vita, e non potendo divenire pilota a causa di una forte miopia, sin da ragazzo coltiva l’interessa per il volo in modo costruttivo, nel vero senso della parola, avvicinandosi all’ingegneria aeronautica e, crescendo, diventando una sorta di enfant prodige del settore.

La vera essenza del film, però, si trova nella storia d’amore che nasce tra Jiro e Nahoko durante il terremoto del Kanto del 1923.
È un’amore sofferto, vero ma difficile, che nasce quasi per incanto, aiutato da un folata di vento, caldo come uno scirocco e tenero come il primo bacio.
Si alza il vento si concentra proprio sulla difficile convivenza nel cuore di Jiro tra l’amore della sua vita e la passione della sua vita.
È la storia di molti, e per questo Jiro è un personaggio con il quale facilmente si empatizza, amandolo dal primo all’ultimo fotogramma, per la sua dedizione, per la sua bontà e perché tutti, nella vita, desidereremmo avere un’amore sconfinato e sincero come quello che ha lui con Nahoko.

La maturità del Maestro è qui ai massimi storici, riuscendo a creare con raffinatezza ed eleganza forse una delle sue opere migliori, spolpata quasi fino al midollo dalla solenne componente fantasy che da sempre contraddistingue i suoi lavori, sostituendola invece con scene “oniriche” legate però ai sogni del protagonista, quindi ben piantate nel suolo della realtà.
Anche il linguaggio, comunque già in film come Principessa Mononoke non di facile fruibilità, qui si appesantisce anche con tecnicismi tipici della materia trattata, e cioè l’aeronautica, comunque mai troppo insistiti e soprattutto non completamente necessari ai fini della storia e ancor di più del messaggio che Il film vuole veicolare.

Miyazaki ci regala un gioiello di grande valore stilistico e morale, salutando a testa alta il palco più importante della sua vita, il cinema, ricordandoci come sia importante appassionarsi e sognare, entusiasmante arrivare ed essenziale amare.

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