Silence: la recensione di Cristian_90
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Silence: la recensione di Cristian_90

Silence: la recensione di Cristian_90

Probabilmente l’opera più sentita e personale del premio oscar Martin Scorsese (Taxi Driver; Toro scatenato; Quei bravi ragazzi; Gangs of New York; The Departed – Il bene e il male; Shutter Island; The Wolf of Wall Street), Silence va a collocarsi nella nicchia dei capolavori non universalmente riconosciuti del cinema, intriso di messaggio morale veicolato attraverso un film che non è per tutti. Scorsese partecipa direttamente anche alla sceneggiatura insieme a Jay Cocks (L’età dell’innocenza; Strange Days; Gangs of Nwe York). Dialoghi e pensieri dei protagonisti, così come i lunghi silenzi, palesano l’intento di far riflettere lo spettatore. Fotografia di Rodrigo Prieto (La 25esima ora; 21 grammi; Alexander; I segreti di Brokeback Mountain; Argo; The Wolf of Wall Street). Musiche di Kim Allen Kluge, Kathryn Kluge. I protagonisti Andrew Garfield e Adam Driver danno buona prova di sé nel film, senza dubbio, più impegnativo della loro giovane carriera.
Nella prima metà del XVII secolo due giovani padri gesuiti portoghesi, Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield) e Francisco Garupe (Adam Driver), partono alla volta del Giappone perché venuti a conoscenza dell’abiura (rinuncia della fede) da parte del missionario, nonché loro mentore, Padre Cristóvão Ferreira (Liam Neeson). I due, increduli, decidono quindi di affrontare il viaggio e verificare di persona la veridicità della notizia. In Giappone, a quel tempo, lo shogunato perseguita e uccide i cristiani in nome dell’ordine politico, e tortura i preti costringendoli a rinnegare la propria religione. Padre Rodrigues e padre Garupe dovranno dunque fare i conti con il forte clima di ostilità e con la persecuzione in atto nei confronti dei convertiti nonché con la loro stessa spiritualità, vacillante di fronte a tanta crudeltà e diversità.
Martin Scorsese trae la sua ultima fatica, in cantiere dagli inizi degli anni ’90, dal libro Silenzio del giapponese Shūsaku Endō. Questo dovrebbe già dire molto o tutto su quanto il regista sentisse nel profondo questa opera. Sin dai primi minuti del film si ha l’impressione di aver a che fare con qualcosa di intimo. Scorsese vuole trasmettere prepotentemente a chi guarda tutti i dubbi e le domande che un uomo adulto dovrebbe porsi sulla religione, sulla fede, sulla diversità. Insomma, nella lunga durata della pellicola il regista ha cercato di inserire tutto quello che il libro di Endō ha scatenato prima di tutto in lui. In occidente la religione cristiana, ai tempi della storia di cui si parla, ha visto più di un millennio di conflitti, sangue, modifiche, adeguamenti, indottrinamenti. Si pretende di voler portare “la Verità con la V maiuscola”, la propria concezione di Dio, di punto in bianco e con immediato successo, in un Paese altro, il quale già possiede credenze e modi di pensare e vivere ben radicati e identitari. La diversità di lingua non aiuta per nulla i missionari i quali tentano di diffondere una dottrina complessa senza adeguarsi e adattarsi minimamente al luogo che li ospita. E se quella della lingua è la disuguaglianza più eclatante, ecco che entrano in gioco situazioni ben più complesse come l’identità di un popolo. I missionari credono di avere successo sulle povere anime dei piccoli villaggi ma in realtà queste non fanno altro, ed è ovvio, che travisare e adattare il messaggio cristiano al proprio modo, già insito in loro, di percepire la spiritualità. C’è chi battezza il proprio figlio e crede dunque, di conseguenza, di meritare il paradiso; chi crede che qualsiasi tipo di peccato può essere sempre reiterato perché gli è garantita l’assoluzione di un prete; chi è disposto a morire per la persona fisica di padre Rodrigues e non per il Dio intangibile. Sono troppe le incompatibilità di base che non permettono un sodalizio tra due concezioni esistenziali ai poli opposti. Le crudeltà dello shogunato nei confronti dei “cristiani” si parano davanti agli occhi dei due padri portoghesi che, se all’inizio mostrano una fede forte che li rende consapevoli di un prossimo intervento risolutore di Dio, col passare del tempo e con la crisi fisica e mentale qualcosa in loro comincia a scricchiolare. Il Silenzio di Dio di fronte alle atrocità commesse pesa davvero. La fede è davvero così forte da non poter crollare davanti a soprusi e minacce? Rodrigues è un novello Gesù che vive la riproposizione delle persecuzioni delle prime comunità cristiane in Occidente, questa volta in terra d’Oriente. Comunità composte da acerbi fedeli che pregano di nascosto per sfuggire ad una legge spietata che li ritiene un problema politico, pratico. Il film di Scorsese mette dunque sul piatto dei fedeli, ma non solo, molti dubbi. Il rispetto nei confronti di un popolo deve necessariamente varcare i confini politici e religiosi. Nessuno è portatore della Verità assoluta ma soltanto della propria verità, che non è quella di un altro. Scorsese decide di abolire la musica durante tutto il film, lasciando parlare i suoni naturali al fine di rendere Silence un’esperienza meno cinematografica possibile e più personale. Andrew Garfield e Adam Driver sono molto credibili nei panni dei malnutriti gesuiti. Apprezzando a dismisura Garfield mi sarei però aspettato qualcosa in più da lui a livello interpretativo. Lo avrei voluto più intenso e convincente come in The Amazing Spider-Man o 99 Homes. Avrà tempo per fare il grande, grandissimo salto che merita un talento come lui ma direi che lavorare con Scorsese in un’opera così impegnativa è già un grande traguardo e una bella fatica. Lode al lavoro su scenografia e costumi dei pluripremiati Dante Ferretti (Medea; Salò e le 120 giornate di Sodoma; Amleto; L’età dell’innocenza; Intervista col vampiro; Gangs of New York; The Aviator; Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Eleet Street; Hugo Cabret) e, soltanto sulla scenografia, Francesca Lo Schiavo (Il nome della rosa; Gangs of New York; Ritorno a Cold Mountain; The Aviator; Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Eleet Street; Hugo Cabret). Il fatto che Scorsese sentisse troppo personalmente quest’opera non poteva avere soltanto lati positivi, anzi. Sia ben chiaro, quello che è riuscito a realizzare è, come ci si immaginava, sontuoso ma il film soffre, da una parte, proprio dei sentimenti del regista. La durata del film, seppur comprensibile viste le tematiche profonde, risulta eccessiva agli occhi dei più e la pellicola di conseguenza richiede molta concentrazione e pazienza soprattutto a causa di un ritmo lento che non aiuta a tenere alta l’attenzione. Comprendo dunque chi esce dalla sala annoiato e spazientito seppure inizialmente interessato e veramente coinvolto dalla trama e dal messaggio che trapela. Sinceramente, a me una seconda visione, ora come ora, risulterebbe difficile. E’ sicuramente l’opera più recente di Scorsese dove in realtà il protagonista non è altri che lui. Lo accetto ma non lo condivido. Silence è probabilmente quell’unico jolly che nella vita soltanto pochi registi come Scorsese possono giocarsi. D’altronde il sommo non ha bisogno di affermarsi e quindi si può ben permettere di realizzare un film come Silence che (e mi auto-cito perché non saprei come altro finire) “ va a collocarsi nella nicchia dei capolavori non universalmente riconosciuti del cinema, intriso di messaggio morale veicolato attraverso un film che non è per tutti”.

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