Pietro Zinni (Edoardo Leo) è in carcere insieme a tutta la banda dei ricercatori. Un criminale, Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio) ha in mente di compiere un terribile attentato dentro l’Università La Sapienza, proprio dove tutto ebbe inizio, utilizzando del gas nervino. Nessuno, se non le migliori menti d’Italia, può avere una minima chance di sventare una strage di innocenti di enormi proporzioni…
Il cerchio si chiude: anche per il fenomeno comico più importante del cinema italiano recente, divenuto incredibilmente addirittura una trilogia, è arrivato il momento dei saluti. Per l’occasione il regista Sidney Sibilia ha voluto concedersi un rendez-vouz degno di questo nome, un campo da gioco e una cornice che fossero all’altezza delle sfide con cui la saga di Smetto quando Voglio si è cimentata fin dal primo capitolo, nel 2014.
Che si trattasse di un manifesto generazionale era palese fin dall’esordio, che prendeva la coralità di tanta commedia di casa nostra e ne imponeva una versione contemporanea e sgargiante, drogatissima e col pedale sempre premuto a mille all’ora: il gioco dei caratteri e il registro della farsa sotto acido, che mescola parodia degli intellettuali ed esplosività nerd, sono rimasti invariati anche nel secondo capitolo, che tuttavia era un filo più macchinoso e ridondante, come spesso accade ai secondi film.
Per il terzo, ultimo episodio, Smetto quando Voglio – Ad Honorem, Sidney Sibilia è invece tornato alla selvaggia spontaneità del primo film, ai suoi sproloqui scientifici e alla contagiosa follia di una resa dei conti che stavolta ruota intorno a due grossi, pirotecnici perni (l’evasione da Rebibbia e il già citato attacco terroristico). Ritrovando così, per la chiusa finale, quel rinnovato senso di urgenza che fa straordinariamente a pugni col disperato precariato di questi giovani cervelli irresistibili e geniali, alfieri di un cinema che riesce sempre ad essere popolare e giovanile insieme, acuto e leggerissimo.
Come in ogni saga che si rispetti c’è anche un pizzico di nostalgia per l’addio, un margine di struggimento (il rapporto tra il Pietro Zinni di Edoardo Leo e la Giulia di Valeria Solarino avrà uno strano ripiegamento, da scoprire fino a che punto amaro). Ma anche, grazie al lavoro di scrittura di Sibilia, Luigi Di Capua e Francesca Manieri, una riflessività che mostra le zone d’ombra dei cattivi non così cattivi (il villain di Lo Cascio, ma soprattutto l’accattivante e sempre più carico di sfumature Er Murena di Neri Marcoré) e si fa carico delle necessità di maturazione di questo ritratto a più voci (stavolta si smette per davvero, dopotutto).
Lo slancio creativo non risparmia neanche delle parentesi estetiche più dark, avallate dall’ambientazione carceraria, quasi come se Sibilia, nel lasciarsi alle spalle questo universo che tanto gli ha dato in termini di forza commerciale e credibilità industriale, ci tenesse a mostrarci di essere all’occorrenza anche un regista di sfumature cupe e sottili, una voce possente tanto quanto quella tenorile di Stefano Fresi che scopriamo in un’esilarante sequenza di Ad Honorem. In attesa di vederlo alle prese con qualcosa che non abbia Smetto quando voglio nel titolo, perché in futuro non potrà che essere così, come ha lui stesso ammesso.
Per il momento, però, lo congediamo da questo terzo, ultimo esame con una promozione a pieni voti.
Mi piace: il senso di necessità, di nostalgia, di purezza dell’episodio finale della trilogia, ma anche l’esplosività con cui si chiude la saga
Non mi piace: qualche flashback poco centrato a livello narrativo
Consigliato a: tutti i fan della banda dei ricercatori e ai tanti che hanno amato alla follia i primi due film, il primo soprattutto
Voto: 3/5
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