Quanto filmato in “Citizenfour” per 113 minuti durant’il giugno 2013 nella stanza del Mira Hotel a Hong Hong fu solo la verità relativ’a quella data e secondo quegli specifici 4 soggetti (Snowden, Poitras, Greenwald e MacAskill). Il nuovo film di Stone ha scarsissimi meriti, fra cui il dilungars’in un profluvio d’aneddoti che reinquadrano l'”affaire” in uno scenario a dir poco diverso. Il protagonista n’esce completamente ridefinito anche contro le stesse volontà del regista, intento a sfornare il suo consueto e consunto logorroico pamphlet propagandistico ostile al proprio Paese. Snowden viene soprannominato “Snow White” d’amici e coetanei colleghi di lavoro: nel “paradiso dei nerd” si scopre né eroico patriota né esecrabile spia, bensì un ingenuo per nulla innocente, un superficiale abilissimo smanettone, un “idiot savant” con dell’eccezionali abilità iperspecialistiche controbilanciate da una paritetica colossal’incapacità di capire cosa significhi l’aver accettato d’arruolarsi per entrare nelle forze speciali statunitensi e poi l’aver assunto degl’incarichi di profilo sempre più elevato nella CIA e nell’NSA. Non è lì per caso e non è per caso che scopre le magagne dell’agenzie di spionaggio e controspionaggio USA: n’è coinvolt’in prima persona, il micidiale programma “Epic Shelter”/”Heartbeat” è opera sua, però decide d’illudersi sul suo utilizzo precipitando dalle nuvole quando ne scopr’il vero scopo. Allora il problema diventa sapere quanto ‘sta genìa di matricole avvezz’al mondo virtuale sia ancor’in grado di distinguerlo dal mondo reale. E Snowden manc’appartiene alla generazione dei nativi digitali, è ancora un semplice “millenial”. Come se ciò già non bastasse a ridimensionarne la figura della presunt’anima bella (“schöne Seele”) incolpevolment’ingannata, Stone ci mostra suo malgrado ch’oggi la priorità consiste non nella sbandierat’opposizione fra security e privacy, lott’al terrorismo e difesa dei diritti civili, ma nel “cyberwarfare”, una guerra cibernetica condotta tramite tecnologie elettroniche, informatiche e dei sistemi di telecomunicazione capaci di collassare qualsiasi sistema sociale, politico, economico, energetico ormai basantesi sulla digitalizzazione dei dati gestionali e decisionali. L’unica prevenzione possibile è la “partita patta da guerra fredda” fra le superpotenze, in primis Cina, Russia e appunto Stati Uniti. Soltanto manifestand’il deterrente d’un’identica capacità d’attacco & difesa può proseguire una vita in regime di “pace armata”, e ciò mi pare più il male minore ch’un gesto criminale. Ulteriori considerazioni prettamente filmiche: selvaggio “miscasting” dove coesistono Wilkinson e uno straniante “Spock”, Nicolas Cage denaftalinizzato e la coppia Joseph Gordon-Levitt + Shailene Woodley. Gordon-Levitt è troppo preso dallo sfoggio delle proprie qualità recitative per sembrare uno Snowden credibile, e il raffronto finale fra lui scaltro disinvolto e l’originale impacciato occhialuto è impietoso. La Woodley ha l’urgenza di scrollarsi di dosso l’aura adolescenziale d’eroina romantica e angelicata impostagli dal ruolo di Beatrice “Tris” Prior e, nel cercare d’essere un sex symbol arrapato e arrapante (cf. la Katrina “Kat” Connor di “White Bird in a Blizzard”, 2014), si fa riprendere sempr’in tiro anche quando dorme, così che pure per lei è impietoso il raffronto finale con la sobria naturalezza di Lindsay Mills. “Snowden” è prolisso e didascalico a scapito dell’emotività: lo si segue per voglia d’informazioni, non certo per il tasso d’appassionante coinvolgimento.
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