Un film sotto certi aspetti indefinibile. Tempi dilatati, sguardi sospesi, fotografia cupa e scenari polverosi. Questo secondo capitolo della saga sul narcotraffico, firmato da Stefano Sollima cui Dennis Villeneuve passa la staffetta dopo il successo incontrastato di Sicario, lascia un po’ l’amaro in bocca, dopo averci tenuti letteralmente incollati allo schermo per più di due ore. Eh si perchè il ritmo della pellicola è serratissimo, gli attori essenzialmente in parte, con una nota di merito per il sempre egregio Benicio del Toro e la trama abbastanza avvincente ma nonostante tutto si rimane delusi. In questa seconda avventura, non troviamo più Kate Macer (Emily Blunt), agente della CIA dal carattere idealista ma ad essere protagonista è la strada vera e propria, gli inseguimenti, le sparatorie, i mezzi blindati che ci sembra di rincorrere e di vedere dinanzi a noi, e la suspence non manca. Ciò che accade è che il governo degli Stati Uniti, nella persona del Segretario della Difesa James Ridley (Matthew Modine), affronta il problema dei terroristi islamici contrabbandati oltre confine dai cartelli della droga messicani. Per cercare di porre rimedio al fenomeno viene incaricato Matt Graver (Josh Brolin), che decide di ingaggiare una guerra di “tutti contro tutti” e, che a sua volta, si serve dinuovo di Alehando Jillick (Benico del Toro), lasciandogli il più completo spazio di manovra per ottenere lo scopo. Viene così rapita l’adolescente Isabella Reyes (Isabela Moner), figlia dei uno dei principali boss della droga locale, con l’obiettivo di fare credere che il tutto sia stato orchestrato da una banda rivale. Il piano però non va come dovrebbe, quella che doveva rivelarsi un’operazione semplice non si dimostra tale, poiché nella terra di nessuno neanche i poliziotti sono onesti ma sono a servizio delle gang mafiose, perchè qui il bianco non è più bianco e il nero non è nero. A ben vedere, il film, nella sua ruvidezza ed essenzialità, oltre che nell’assenza totale di retorica, potrebbe essere davvero una gran film ma quando si arriva alla scena finale si rimane con la inevitabile sensazione di aver sprecato del tempo. Durante tutta la proiezione non pensiamo mai di trovarci difronte alla classica “americanata” e questo grazie ai toni asciutti, alla recitazione dei protagonisti, al modo in cui sono girate le scene e posizionate le telecamere ma anzi si respira una certa aria di autorialità, fatta eccezione per alcune esagerazioni evidenti. E tuttavia, l’epilogo, che non è altro che un ovvio tentativo di introdurre quello che potrà essere l’ennesimo captolo di una saga assai fortunata, fa perdere a tutto di credibilità.
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