“Chi si crede d’essere, un Monicelli, un Olmi?” La mia impressione è che a Cevoli la Grande Guerra non poteva interessar di meno. L’ha scelt’a pretesto, oltre che per omaggiare il nonno il quale fu eliografista sul serio, per riproporre l’ideologia di Proudhon, quell’A inscritta nell’O, l’Ordine pacifico societario raggiunto non con l’imposizione d’un qualche potere dall’alto o in modo contrattualistico bensì, al contrario, grazie alla risoluzione dei conflitti mediant’un accordo libero, autonomo e spontaneo dal basso, oggi diremmo emergentisticamente autorganizzantesi. Gino Montanari, maestr’elementare romagnolo, ateo, antinterventista e donnaiolo, e Aniello Pasquale, ragazz’analfabeta di Capri con princìpi moral’imparati dal parroco e dalla madre fervente religiosa: Dio, Patria, Famiglia. Il libertino anarcoide è un patacca ma non una patacca, e cerca di dimostrare la fattibilità d’una conciliazione degl’oppost’in virtù d’un pensiero dal “cuore più elevato” (“sursum corda”) rispetto all’idee del quas’omonimo romanzo deamicisiano pubblicato nel 1886. Ritengo che ci sia riuscit’egregiamente, un’opera prima delicata, dolce, garbata, pudica, umile ma non dimessa, in cui le presunte gag zelighiane (“Troppe”; “Macché, troppo poche”) sian’umoristicament’inefficaci quant’utilissime a rimarcare, “sub specie contraria”, la mattanza della prima delle guerre mondiali. I personagg’al contorno e di contorno sono quelle figure ch’attraversano di sfuggita la vita di ciascuno di noi lasciando comunque un ricord’indelebile, accomunati da una gesuologia umanitaria affrancata dalla cristologia teista. Se al regista va rivolta una critica è forse di non aver osato l’altezz’ungarettiane, dove la condizione impantanata nel Carso assurge a metafora dell'”humana conditio”. Ma per un esordio va già più che bene così.
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