Il più grande problema di “Solo: a Star Wars story”, dopo ovviamente il turbolento dietro le quinte che ha visto il cambio di regia (da Phil Lord e Christopher Miller a Ron Howard) e quindi un mescolamento di impronte, è il purismo ostinato. Quello per cui “o mi ridai la trilogia originale, o disonore su di te e sulla tua mucca”. Sono sicura che un sacco di mucche in questo momento stiano soffrendo inutilmente.
Non possiamo pretendere di andare a vedere qualcosa che ha già visto la luce, che c’è già stato dato (grazie Giorgione! Segue standing ovation immaginaria con sottofondo di marcia imperiale). Ma possiamo accettare di andare a vedere un’altra cosa.
“Solo” non è un film che osa, però neanche stravolge. Anzi, porta un estremo rispetto per ciò che lo ha preceduto. Non scordiamoci che Lawrence Kasdan, che col figlio si è occupato della sceneggiatura, è lo stesso Kasdan che c’era dietro a “L’impero colpisce ancora” e “il ritorno dello jedi”. Un film che, a differenza forse di episodio VII e VIII, nasce proprio per le vecchie generazioni di fan, un po’ come “Rogue one”. Vi è una gran cura nelle ambientazioni, un gran numero di richiami e alcune scene visivamente bellissime, che però non nomino perché odio gli spoiler.
Un film più d’azione che di riflessione, come del resto lo stesso suo protagonista.
Alden Ehrenreich non sarà mai Harrison Ford. E lo dichiaro come cinefila, come amante di Star Wars e come donna. Come Harrison Ford c’è solo Harrison Ford (la me donna è quella che soffre di più questa presa di coscienza); del resto, come Matelda Giachi (ciao, sono io!) c’è solo Matelda Giachi. Ma racconterò la mia storia solo quando avrò raggiunto la giusta fama.
Dicevo. Dal momento che l’originale non era utilizzabile per ovvie ragioni di natura anagrafica, Ehrenreich ha dovuto affrontare una sfida in confronto alla quale percorrere la rotta per Kessel è una passeggiata a piedi nudi nel parco. E ha fatto un ottimo lavoro, povera stella. Non solo è fisicamente plausibile, ma ha studiato il lavoro del suo predecessore e poi ci ha messo del suo per dare vita ad un Han Solo che, udite udite, non è ancora quello che il mondo ha conosciuto con “Una nuova speranza”, ma il ragazzino che attraverso queste e molte altre avventure diventerà, un giorno, l’amato contrabbandiere della principessa Leia Organa. E’ presuntuoso, ha la faccia da schiaffi… ma è ancora ingenuo, un “diamante allo stato grezzo”. Contatterò presto la Disney per farmi pagare per le continue citazioni.
Fiore all’occhiello del cast è Donald Glover, un giovane Lando Carlissian, carismatico al punto giusto. Niente da dire su Woody Harrelson, che regala sempre ottime performances, e su Joonas Suotamo (Chewbe!), sono ineccepibili. Emilia Clarke senza infamia e senza lode; un ruolo interessante, ma finisce un po’ per essere la Bond girl di una galassia lontana lontana. Paul Bettany, acquisto dell’ultimo minuto, come villain capriccioso viene sempre bene.
Quello che mi sento di dire, alla fine, è che “Solo, A Star Wars Story” non farà mai la storia del cinema; sicuramente è un film da cui tutti vorremmo di più. Ma è un buon film. Non sprecate energia in malcontento a priori e commuovetevi un po’ a vedere la prima volta di Han Solo alla guida del Millennium Falcon. La dignità di molte mucche può ancora essere salvata.
Voto 3/5