Sono tornato
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Mussolini, dall'Italia, non se n'è mai davvero andato e il film di Miniero e Guaglianone ce lo ricorda nel migliore dei modi

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Mussolini, dall'Italia, non se n'è mai davvero andato e il film di Miniero e Guaglianone ce lo ricorda nel migliore dei modi

Sono tornato

Benito Mussolini (Massimo Popolizio) ritorna in vita nell’Italia del 2017, in carne ed ossa, 80 anni dopo la sua morte. La sua Claretta Petacci non c’è più, ma neanche l’Italia dalla quale si era miseramente congedato. Il vero Mussolini, redivivo e ancora animato dall’antico furore, si imbatte in Andrea Canaletti (Frank Matano), un giovane documentarista ingenuo e mediocre, con nessun successo all’attivo, che intravede in quell’uomo identico a Mussolini, da lui scambiato per un attore, la possibilità di girare finalmente il documentario della vita… 

L’operazione compiuta da Luca Miniero, il regista di Benvenuti al Sud, e da Nicola Guaglianone, sempre più sceneggiatore di punta del nostro cinema, è il remake di un film tedesco, Lui è tornato, che immaginava la ricomparsa di Adolf Hitler in persona nella Germania dei giorni nostri (era il 2014). Un prodotto non privo di rischi e di presupposti scivolosi, perché nel maneggiare in chiave di commedia un totem della nostra storia tutt’altro che rimosso come quello del dittatore fascista c’è il rischio costante di mancare il focus etico, di sbandare dal punto di vista ideologico.

Se Mussolini è ancora oggi mitizzato o reso oggetto di improbabili simpatie da una fetta molto larga di italiani non sta certo a un film come Sono tornato sciogliere questo nodo problematico, e non avrebbe allo stesso tempo senso far ricadere su questo cinematografico un’antipatia aprioristica per il semplice fatto di aver riportato in vita Mussolini facendone una macchietta da commedia, anche grazie alla strabiliante mimesi da avanspettacolo di un eccelso attore teatrale come Massimo Popolizio. Sarebbe però altrettanto superfluo, come sembrano pretendere coloro che si indignano a prescindere per una simile operazione, mettere in scena Mussolini per ribadirne a ogni pie’ sospinto le colpe, già ampiamente certificate dalla Storia.

Quello che fanno Miniero e Guaglianone, sulla falsariga del film originale ma con una cattiveria complessiva probabilmente più chirurgica e studiata, pur partendo da una scrittura colma di gag e di ironia di situazione che rischia di strafare e perdere la bussola, è qualcosa di sicuramente più sottile sotto le sembianze della farsa, proprio perché specificatamente italiano. Se nel film tedesco si percepiva il rigetto verso un personaggio inevitabilmente demonizzato ed espulso dal sentire comune tedesco, inchiodato a più riprese alla sua colpevolezza, in Sono tornato si respirano a pieni polmoni tutta l’ambiguità pressappochista e il pensiero debole degli italiani al cospetto della politica e dell’esercizio del potere, specie quando veicolato da personalità invasive e carismatiche, comunicativamente possenti e mediatamente ingombranti.

Mussolini, dopotutto, non è mai stato davvero rimosso: molti continuano a tirarlo in ballo in campagna elettorale e sugli organi di stampa, il quotidiano Il Tempo lo ha addirittura eletto personaggio dell’anno del 2017. Se in Lui è tornato gli emuli di Hitler presentati erano una carrellata di rappresentazioni del Führer rigorosamente di fiction (Chaplin de Il grande dittatore, Bruno Ganz de La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler), in Sono tornato sono tutti premier, aspiranti tali o politici degli ultimi decenni, dal più ovvio al più comico (in senso letterale). Anche il titolo, Sono tornato è drammaticamente in prima persona, come si conviene al personalismo ossessivo dei nostri stantii dibattiti politici, compreso l’ultimo referendum in ordine di tempo di poco più di un anno fa (la vicinanza dell’uscita del film di Miniero alle elezioni del 4 marzo, poi, non aiuta a tirare sù il morale).

Quello di Sono tornato è un paradosso, certo, ma grazie alla leggerezza con cui gli autori decidono di ricorrere al dispositivo cinematografico offerto da questo cortocircuito il film acquista, progressivamente, la forza dello schiaffo a partire da quella dello sberleffo: si può sorridere mesti e rassegnati se Mussolini, catapultato nell’Italia di oggi, crede di essere finito ad Addis Abeba vedendo intorno a sé solo migranti (una forzatura meramente ridanciana, certo), ma come si può non rimanere agghiacciati nel momento in cui la sua apparenza da comico gli permette di scalare gli ascolti di una tv del tutto spettacolarizzata, fino ad approdare a un people show dissuasivo e a misura di perdono, attraverso il quale riconquistare il favore degli italiani (una parodia dal nome anglofono di C’è posta per teI forgive you, che vista la notoria antipatia di Mussolini per l’inglese si traduce in un colpo di coda perfino straniante)?

Sono tornato è dunque un film attentissimo ai medium che maneggia, e questo specifico mediatico non può che renderlo un’appropriazione italiana decisamente riuscita del format originale, per rimanere dentro il linguaggio del mezzo televisivo: non è un caso, dopotutto, che il personaggio di Frank Matano abbandoni progressivamente lo strumento del documentario per passare alle candid camera, che si fanno testimonianze di becero populismo raccolte lungo lo Stivale a mo’ di pillole Youtube (da qui la scelta di casting della webstar, azzeccata ben oltre i limiti recitativi di Matano). Fino ad avallare, con la sua complicità tardivamente risvegliata, la scrittura televisiva di grana grossa, a misura di istinti viscerali in prima serata. Il racconto della politica e la sua documentazione e radiografia si traducono così nella più inevitabile e gelida delle rese, in quella non narrazione paralizzata e inchiodata a se stessa che, col senno di poi, è anche la cifra stilistica dei talk politici contemporanei, di tutte le reti (l’unico a suggerire che il Duce ritrovato, vero o finto che sia, è nudo è non a caso Enrico Mentana nel suo Bersaglio mobile). 

Più che chiedersi se il passato possa tornare, dunque, bisognerebbe domandarsi se ne è mai davvero andato.

Mi piace: la capacità di raccontare l’invasiva, inestirpabile presenza di Mussolini nel dibattito pubblico italiano attraverso un road movie che non rinuncia a riflettere sui media e sulle loro intersezioni spesso deviate e malsane, nei linguaggi e negli scopi.

Non mi piace: una scrittura votata all’accumulo che, per quanto lucida e cattiva al punto giusto nelle stilettate più importanti, rischia di sbandare qua e là con la comicità di situazione.

Consigliato a: chi abbia voglia di riflettere sulla figura di Mussolini e sulla sua tragica non rimozione dall’immaginario medio (e mediale) italiano, senza trincerarsi dietro pregiudizi ideologici e facili snobismi.

Voto: 3/5

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