Realtà, illusione, tempo, spazio. Philip K. Dick, padre del Sci-Fi post-moderno, ci ha aperto gli occhi, parlandoci di dimensioni spazio-temporali alternative ed una nuova paranoia: quella di vivere un’illusione. Ubik ne è il capostipite, la pietra miliare. Cosa è vero? Cosa non lo è? Fin dove arriva la pseudo verità che ci propinano e dove inizia la realtà? Queste ed altre domande sembrano purificare l’anima della società meccanica del ventunesimo secolo. Matrix, Inception, Sucker Punch, solo per citarne alcuni, altro non fanno che trasportare i loro protagonisti in una dimensione differente. Che siano i sogni, un altro tempo, un altro luogo. Non importa. Ciò che conta è trascendere. E in questo, più che discreto, Source Code il capitano Colter Stevens (un ottimo Jake Gyllenhaal) rifugge dal presente ripetendo infinitamente gli stessi 8 minuti vissuti dal passeggero di un treno poco prima che esplodesse una bomba. Una sorta di Ricomincio da capo in formato Sci-Fi. Nuova versione della costrizione dell’uomo, relegato in un tempo non suo, in una mente non sua, in una metafora del ciclo della vita. L’evoluzione perenne. La nascita, la crescita, la morte. Il Samsàra. Duncan Jones (autore del bellissimo Moon) ci regala un buon film di fantascienza intelligente con spunti filosofici e un finto happy end sporcato da quantistiche incertezze. Morpheus ci chiederebbe: volete la pillola rossa o quella blu? Da vedere prima di scegliere. (scritto anche su Cinematra Blog)
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