SPECTRE: la recensione di Marita Toniolo
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SPECTRE: la recensione di Marita Toniolo

SPECTRE: la recensione di Marita Toniolo

«I morti sono vivi». È con queste parole che prende l’avvio il 24mo James Bond, SPECTRE, ambientando non a caso la scena durante la festa del Giorno dei morti a Città del Messico, con un Craig travestito da scheletro. I morti sono talmente vivi nel presente dell’agente britannico da commissionare addirittura omicidi anche dall’aldilà, come fa M con Bond, lasciandogli in eredità un video in cui gli affida l’esecuzione di un certo Marco Sciarra, affiliato alla potente organizzazione segreta SPECTRE. Bond, fedele come sempre a M, figura mostratasi in tutta la sua evidenza edipica in Skyfall, esegue l’omicidio inseguendo la vittima predestinata in una piazza gremita, saltando al volo su un elicottero e sfiorando il massacro della folla. La missione “privata” diventa incidente diplomatico internazionale e gli aliena da subito le simpatie del nuovo M, interpretato da Ralph Fiennes, e soprattutto quelle di Max Dentigh, protegé del ministro dell’interno inglese che sfrutta le intemperanze di Bond per affondare il colpo nei confronti dell’MI6 e della secondo lui obsoleta sezione 00, a favore di un sistema di sorveglianza globale che accorpi le nove intelligence mondiali (i Nove Occhi).

Bond, come sempre, vede più lontano di tutti e comprende quanto un sistema del genere possa far comodo ai villain mondiali. Neutralizzati gli agenti con “licenza di uccidere” e riuscendo a tirare le fila del “grande fratello” che dovrebbe teoricamente proteggere i popoli, SPECTRE avrebbe accesso a un potere illimitato. Per questo l’agente decide di agire da “cane sciolto” in modo non dissimile dall’Hunt dell’ultimo Mission: Impossible, pur se sempre con l’apporto dei fedeli Q e Moneypenny. Inizia così una lunga e rocambolesca trasferta di Bond, che da Roma dove si troverà al cospetto del grande manovratore di SPECTRE, Oberhauser (il Cristoph Waltz che ti aspetti), lo porterà in Austria da una vecchia conoscenza, un Mr. White con crisi di coscienza che gli affiderà la figlia Madeleine Swann (Léa Seydoux), e più tardi lo spingerà fino a Tangeri dove si troverà faccia a faccia con la sua nemesi e gli incubi della sua infanzia. E oltre non riveliamo.

SPECTRE affonda nelle pieghe dell’animo di Bond, svelandocene più che mai la fragilità: per la prima volta vediamo il suo appartamento, le sue foto da bambino e scopriamo dettagli personali sconosciuti, per non parlare delle varie volte in cui ritorna il nome di Vesper Lynd, la donna che 007 ha amato di più. Sono brecce, brevi momenti, che pur dissestano l’immaginario classico del vecchio Bond, in linea con l’operazione “reboot” della quadrilogia messa in atto da Neal Purvis e Robert Wade, per dar vita a un eroe post-moderno, umano e meno mitologico.

Peccato che la concentrazione di Mendes sia volta più alle scene di intrattenimento ad alto tasso di spettacolarizzazione e che la sceneggiatura a volte scricchioli, perdendo per strada l’urgenza emotiva che si respirava in Skyfall, ma confezionando comunque un capitolo finale della miniserie craigiana coerente e collegato a tutti gli episodi precedenti, che non deluderà. Craig, dal canto suo, assolve come sempre la sua funzione di corpo-metafora adattandosi a tutte le situazioni con quel misto di virilità e scabra eleganza a cui ci ha abituati.

Il bello del 24mo Bond è che recupera i cliché ma li sovverte con humor, come quando ordinando il solito Vodka Martini agitato non mescolato si vede rifilare un beverone salutista fino alla scena della resa dei conti dall’esito a sopresa e all’abbandono della consueta misoginia (episodio con la vedova Bellucci/Sciarra a parte). Con un occhio alla tradizione e uno alla modernità ma senza diventare strabico, SPECTRE attua un ribaltamento dell’iconografia che serve a rendere credibile l’evoluzione finale dell’eroe, il suo soffermarsi a riflettere sul percorso complessivo della sua esistenza.

E non è un caso che abbia un nome proustiano la donna che sarà strumento del suo riconciliarsi col “tempo perduto”, quella Madeleine che gli consentirà di guardare in faccia tutti i fantasmi della sua vita che gli si ripresenteranno davanti in una scena clou, sconvolgendo un copione che finora è sempre stata una ripetizione pedissequa del passato. Come non è un caso che le prime scaramucce tra i due si svolgano su un treno, come già era avvenuto tra lui e Vesper in Casino Royale. Sam Mendes (e con lui probabilmente anche Craig) conclude la sua avventura bondiana con un finale nettamente freudiano, dove è necessario riconciliarsi con quello che è stato per poter aprirsi a un futuro del tutto inedito.

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Mi piace: la svolta umana del protagonista, che abbandona la consueta misoginia, si dimostra più fragile e aperto a un futuro imprevedibile.

Non mi piace: l’attenzione concentrata soprattutto sulle scene action spettacolari a discapito dei dialoghi, meno riusciti che in Skyfall.

Consigliato a chi: ama la saga e anche chi desidera farsi sorprendere da un Bond inedito.

VOTO: 3/5

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