Risulta a dir poco lampante agli occhi di chiunque quanto Spider-Man: Un nuovo universo, dal dicembre 2018, giorno in cui è apparso nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, abbia lasciato un segno indelebile nell’industria. Con il dimezzamento dei frame per secondo e la fusione tra animazione tradizionale e CGI, Sony ha dato vita a uno stile unico, emulato successivamente da diversi studios, non ultimo la Dreamworks con il suo Il gatto con gli stivali 2 – L’ultimo desiderio.
Questa ennesima epopea dell’Arrampicamuri non consiste semplicemente in un mero spettacolo visivo, ma la cura destinata alla resa grafica di ogni singolo dettaglio viene riposta anche nella riproposizione di una storia e di personaggi già visti, con formule ed espedienti narrativi comuni, ma in chiave inedita, creando archetipi vividi e un racconto in grado di comunicare con l’epoca in cui è collocato.
Il risultato ha portato ad una acclamazione unanime, che ha portato all’Oscar al miglior film d’animazione, oltre ad aver influenzato la produzione animata contemporanea tanto nella tecnica quanto nel tone of voice, che passa repentinamente dalla sguaiatezza al toccante dramma, grande merito della supervisione al progetto di Phil Lord e Chris Miller (The Lego Movie, Piovono polpette). Cinque anni più tardi, dopo il successo replicato anche al botteghino, avrebbe portato anche a un seguito.
Spider-Man: Across the Spider-Verse riprende la storia di Miles Morales, che ha ormai appreso il ruolo del supereroe cittadino, pochi mesi dopo gli avvenimenti del primo film, con la frattura del Multiverso che continua a creare complicazioni. Il giovane di Brooklyn si riunirà con Gwen Stacy per sventare una nuova minaccia, incontrando, nel mentre, anche una lega di Spider-persone, capitanata da Miguel O’Hara, e affrontando i propri genitori, con i quali si stanno incrinando i rapporti a causa del suo segreto.
Cambiato il trio di registi (tra cui Kemp Powers, già dietro Soul), Across the Spider-Verse segue perfettamente la regola (non troppo) implicita dei sequel, ingigantendo le proporzioni di ogni fattore funzionante del predecessore. Se spesso e volentieri il carico di materiale in gioco può rivelarsi un’arma a doppio taglio, non permettendo, nella durata limitata del lungometraggio, di approfondire ogni personaggio e risvolto di trama come meriterebbe, la scommessa in questo caso viene vinta a mani basse. L’espansione del racconto potenzialmente autoconclusivo del primo capitolo non viene avvertita come forzata, bensì come una spontanea prosecuzione.
Se Un nuovo universo risultava avanguardistico per l’achievement tecnico raggiunto, il suo seguito si spinge ancora più avanti, sperimentando un sempre più elaborato connubio di stili, confezionando un viaggio tra le tappe dell’evoluzione dell’arte grafica e un sunto sul suo stato attuale. La visione diventa un’esperienza stimolante per ogni senso, a un livello quasi mai raggiunto tra le mura di una sala cinematografica, accompagnata da una travolgente colonna sonora originale che raccoglie i migliori esponenti della scena hip hop e R’n’B odierna.
L’esaltazione, però, proviene anche dal dialogo estremamente intelligente che l’opera intrattiene con il contemporaneo e con la realtà extra filmica, ragionando sul significato comunemente inteso di icona quale archetipo inserito in narrazioni ricorsive e circolari. Gli elementi del testo audiovisivo diventano essenziali per l’intreccio della trama dello stesso: il canone del racconto va preservato per mantenerlo in vita, per garantire il suo successo. Miles Morales, esattamente come questa trilogia animata (si concluderà l’anno prossimo con Spider-Man: Beyond the Spider-Verse) incarnano la rottura di questo schema per impadronirsi della propria storia, nonché la dimostrazione metatestuale che solo uscendo dal percorso già tracciato si può far nascere (ed essere) dei capolavori.
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