Split: la recensione di Cristian_90
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Split: la recensione di Cristian_90

Split: la recensione di Cristian_90

Split è l’ultima opera scritta e diretta da M. Night Shyamalan (Il sesto senso; Unbreakable – Il predestinato; Signs; The Village; Lady in the Water; The Visit) che ancora una volta, dopo l’inquietante The Visit, dimostra di aver finalmente ritrovato se stesso dopo qualche film non proprio convincente (L’ultimo dominatore dell’aria; After Hearth). Fotografia di Mike Gioulakis (It Follows). Musiche di West Dylan Thordson (Joy). In Split James McAvoy è il vero mattatore. Interpreta con grande versatilità e credibilità le diverse personalità del terribile protagonista/antagonista. Brava anche la giovane Anya Taylor-Joy, perfetta nei panni dell’adolescente triste e problematica.
Claire (Haley Lu Richardson), Marcia (Jessica Sula) e Casey (Anya Taylor-Joy) vengono rapite e imprigionate in una sorta di cantina da Kevin “Wendell” Crumb (James McAvoy), un ragazzo affetto da disturbo dissociativo dell’identità. Le conseguenze? Kevin è “abitato” da 23 distinte personalità (chiamate “l’Orda”) di cui però soltanto alcune vengono alla luce e tengono sotto controllo le altre: uno stilista, un bambino di nove anni, un ossessivo compulsivo fissato con la pulizia e una donna. Le ragazze sequestrate vengono informate dal loro carceriere che presto faranno conoscenza con una terribile creatura che a quanto pare determinerà il loro destino. Intanto proveranno a scappare.
Shyamalan è tornato! Avviso per chi pensò che The Visit fu soltanto un fuoco di paglia, un “una tantum” che avrebbe poi visto ricadere il regista statunitense nel burrone in cui era finito a causa di qualche uscita cinematografica non proprio felice. E invece eccolo qui, pentito dei suoi peccati e finalmente rinsavito. Split rappresenta quindi la conferma della rinascita di Shyamalan che torna a quelle atmosfere che lo hanno reso apprezzabile rinunciando però, questa volta, ad un’altra peculiarità che nel suo cinema di solito non manca, ovvero la riproduzione di quella quotidianità così realisticamente espressa tanto da far entrare lo spettatore nell’intimo della vita dei personaggi presentati. Il regista ha, inoltre, una grande capacità di creare un legame profondo tra le ambientazioni (esempio banale: una casa) e i personaggi che vi agiscono all’interno. E’ comprensibile tuttavia che un regista coraggioso, che ama sperimentare cose nuove, come fa lui in ogni sua opera (per questi motivi gli giustifico anche i flop), possa accantonare, o meglio, concentrarsi anche su altri aspetti ugualmente propri del suo cinema. Addentrandoci in Split, James McAvoy si rivela in gran spolvero. Dimostra di essere poliedrico e di saperci fare davvero con personaggi affetti da “qualche problemino” psicologico. Il suo Kevin è, in fondo, il vero protagonista della storia, incentrata sulle drammatiche conseguenze causate dalle svariate personalità (23, più una nuova di zecca in arrivo) che agiscono dentro di lui. L’interpretazione di queste ultime, cui si fa carico McAvoy, è resa ottima e credibile dal fatto che riesca a suscitare nel pubblico differenti stati d’animo verso ognuna di esse, come se ci si trovasse di fronte a personaggi recitati da altrettanti attori. Non va tralasciata la prova di Anya Taylor-Joy, il cui personaggio è sicuramente adombrato da quello folle di McAvoy ma a cui comunque è dedicato un filone non secondario della storia (interpretato con buona intensità ed espressività), da seguire fino in fondo con la meritata attenzione. Se dunque Shyamalan rinuncia a qualche sua peculiarità, altre sono ben in vista. La voglia di esplorare aspetti dell’ignoto, in questo caso le potenzialità della mente umana, costituisce il filone principale della pellicola. Il mistero è presente all’appello, come sempre. La cantina/magazzino in cui le tre ragazze vengono imprigionate rappresenta quell’utilizzo, tanto caro al regista, di spazi e luoghi chiusi come sedi principali in cui far svolgere la storia. Split si lascia seguire facilmente e con attenzione per tutta la sua durata (2 ore ca.) perché offre diversi filoni narrativi che evitano di far soffrire il film di monotonia. I dialoghi sono ben costruiti mentre il prevalere dei primi piani ha come obiettivo quello di puntare sulle ottime capacità espressive e attoriali dei protagonisti su cui, ovviamente, spicca McAvoy. Durante la visione ci si pone inevitabilmente delle domande a cui si richiedono risposte ma sarà solo lo scorrere del film a chiarire le idee. I momenti di tensione si percepiscono ma non sono proprio palpabili. Come c’era da aspettarsi da Shyamalan, il confine tra thriller e soprannaturale si assottiglia col passare dei minuti fino ad arrivare, purtroppo, ad un finale non proprio apprezzabile e che probabilmente rappresenta il limite maggiore di questa pellicola. In questi frangenti Shyamalan sa stupire ma non stavolta. Con Split il regista statunitense non raggiunge il suo massimo che, per un estimatore come me, risulta lontano. Il film sicuramente rientra tra le sue opere meglio riuscite e rappresenta, soprattutto, un altro tassello che gli servirà a raggiungere le più alte vette, per lui tutt’altro che insormontabili, del genere di cui è maestro. Ah, dimenticavo. Preparatevi al solito sorprendente colpo di scena alla Shyamalan!

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