Alla storia non manca nessuno dei cliché del genere “gente comune”. Film su vite qualunque, modeste, mediocri, raccontate qualunquisticamente, modestamente, mediocremente, quasi per una forma di malsana osmosi. E il Murraycentrismo funziona più d’aggravante che d’attenuante, con l’attore che, dopo il botto coi Farrelly di “Kingpin” (1996, quasi vent’anni fa), ripete stancamente la propria macchietta come fosse un caratterista al soldo di Wes Anderson, Sofia Coppola o Jim Jarmusch. Questo debutto di Theodore Melfi ricorda un altro debutto, quello sundanceano di Montiel in “Guida per riconoscere i tuoi santi” (2006), sopravvalutato già di suo. Si poteva e doveva fare in modo assai diverso e migliore, non capisco cosa lo vietasse al posto del sovrapporre retorica e falsa non retorica dell’antiretorica forzata.
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