Vincent è tutt’altro che un santo. Reduce di guerra, pensionato, passa le sue giornate incollato al bicchiere, sedotto dalle scommesse sui cavalli. Due attività che gli hanno prosciugato il conto in banca e vincolato la vita sociale. Quattro sono le persone che gli gravitano attorno: una moglie ricoverata in ospizio che ormai non lo riconosce più (ma a cui lui non rinuncia a far visita ogni settimana), la spogliarellista Daka che qualche sera viene a “risvegliare la sua virilità” e che forse lui ha messo incinta, il barista di fiducia e l’“amico” a cui deve restituire parecchi soldi. Così appare agli occhi di tutti. Ma non a quelli del piccolo Oliver, un ragazzino che si è appena trasferito insieme alla madre Maggie accanto a lui e a cui Vincent finisce per fare da babysitter, a modo suo.
Non serve andare oltre, perché il protagonista di questo film è un personaggio che non va spiegato, piuttosto vissuto e avvicinato con la stessa cautela che usa Oliver nei suoi confronti. È un personaggio che assomiglia a tanti reduci di guerra passati sullo schermo, eppure non è uguale a nessuno. Vincent vive della straordinaria interpretazione di Bill Murray, capace di riempirlo di sfumature e renderlo affascinante in ciabatte e calzini bianchi, divertente anche quando offre da bere a un undicenne e mena senza scrupoli i bulli della scuola, malinconico e innamorato quando rivolge i suoi occhi verso l’unica donna della sua vita, e tutto sommato sereno quando con la sigaretta in bocca si perde tra le note di Bob Dylan.
Vincent incarna quel politically uncorrect che “profuma di santità”, come ci spiega Oliver nella scena clou del film, la più furba e telefonata, quella dove il talento di Murray si piega davanti alle esigenze di copione (e di Ted Melfi, al suo debutto come regista e sceneggiatore) e cede all’avanzare della retorica e della lacrima facile.
Una leggerezza che si perdona facilmente a un film che per il resto del tempo sa emozionare e raccontare la strana amicizia tra un anziano e un bambino come non si vedeva – seppur con toni decisamente diversi – dai tempi di Up. E che perde la messa a fuoco solo quando si tratta di inquadrare il personaggio di Daka, una inedita e coraggiosa Naomi Watts, spesso (e volentieri) in déshabillé. Figura interessante ma in fin dei conti periferica rispetto alla storia portante.
E non importa nemmeno sapere che Oliver (lo interpreta l’esordiente Jaeden Lieberher: volto perfetto e carisma che promette bene) rischia di essere strappato alla madre o che a scuola viene continuamente vessato dai compagni: ci interessa solo vederlo crescere al fianco di questo “nonno” sui generis, di cui si prende cura, in una continua e necessaria inversione dei ruoli.
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Mi piace
La straordinaria prova d’attore di Bill Murray; da sola vale il prezzo del biglietto.
Non mi piace
Il personaggio di Daka rimane quello più sfocato, nonostante una inedita e coraggiosa Naomi Watts. L’incedere della retorica nelle ultime due sequenze del film.
Consigliato a chi
A chi non sa resistere alla comicità sottile – e qui anche malinconica – di Bill Murray.
Voto
4/5