“Star Wars. Gli ultimi Jedi” (Star Wars: The Last Jedi, 2017) è il quarto lungometraggio del regista del Maryland Rian Johnson.
All’ottavo capitolo dopo quattro decadi dal primo (poi IV) la Forza ritorna un po’ stantia, desueta, vecchia e anche plastificata. Per carità si vede molto e anche troppo senza però una vera emozione è un qualcosa che rinnovi il franchising, anche se va da se senza bisogno di film nuovi per rinnovarlo.
Un’epopea che struggerà i fan più accaniti ma che non aggiunge nulla al già detto e tutto quanto, anche se confezionato bene e spettacolarmente ineccepibile, appare un deja-vu previsto è alquanto ripetitivo. Il vecchio e il presunto nuovo si incontrano non molto allegramente e l’ironia presente nel film sa di compiacimento e di gusto corretto per lo spettatore che scranocchia i pop corn e vuole svagarsi ed estraniarsi.
Ho trovato il film mediamente godere bile, ripetitivo e, forse, alquanto lungo. Per quale motivo sfruttare fino all’osso e spremere lo spettatore in sequenze (certe anche godibili) che non aggiungono assolutamente nulla a tutto il trascorso della ‘Forza’?!?!
Domanda naturalmente senza chiara risposta. Si ha la sensazione che l’abbandono di una certa regia è di certi tipi tipi di registi danneggino tutto lo score decennale. E le riprese di J.J. Abrams come le sue angolazioni ci mancano un po’…per risvegliare la forza degli ultimo. Jedi. Certo è che neanche l’ultima Forza aveva dato il sentore di qualcosa di veramente rutilante. Dopo l’excursus di tutti i vecchi personaggi ecco che negli ultimi Jedi arrivano oscurità maligne tra Resistenza e Repubblica, tra inseguimenti e fuochi vivi e pianeta per nascondersi. Il Figlio Oscuro è mascherato si fa vedere e combatte oltre ogni scarica di fuoco il vigore assoluto di un padre che siede come ‘l’eremita in meditazione di fronte al vuoto emisfero di un universo galattico oltre un orizzonte imperscrutabile. È l’isola dei misteri chiusi dove è in ritiro senza un perché Skywalker che aspetta quasi la domanda fatidica per svegliarsi, risvegliarsi e non a fare addormentare lo spettatore.
‘È un colpo basso’ dice quando rivede la carne propria di Leila Organa (ultima volta di Carrie Fisher) in ‘miniatura-digitale’ con il volto era privo di ogni ruga e il film appariva palpitante e quasi glorioso. Il colpo basso fugace rattrista Luke Skywalker (Mark Hamill) che si ripresenta nella doma battaglia finale…incappucciato al modo di un frate medievale stile Guglielmo da Baskerville (‘Il nome della Rosa’ docet tra Eco e Annaud). Un colpo senza fraintendimenti e Skywalker ridiventa il segugio, il volto, la sagoma e la nuova enfasi di uno star Wars ancora da rifondare contro il nemico figlio è la forza oscura.
Vecchio e nuovo, padre e figlio, Forza e forza, virtù e veemenza, silenzio e tracotanza. Il genio ammaliante di John Williams, con uno score rutilante e corroborante, riesce a mascherare (nei limiti) vuoti di benzina, schermaglie lineari e tempi non sempre lineari. In tali frangenti le sceneggiature (per i fan più sfegatati) vanno a farsi benedire (come si suole dire) e riescono a piacere oltre misura : i voti al di fuori delle 4 stelline (da 8 in su) non concepiscono o quasi nessun difetto. Ci si chiede se al primo star Wars del 1977 i voti avevano un senso e quindi le stelline oggi si sono gonfiate. Le stellari sono soltanto non di video ma anche di pompaggio della scrittura nuova e assecondata verso un film che rasenta la goduria di immagini e la moderata ricerca di vere novità.
‘Vecchio mio. Mancasti…’, ‘Che la Forza….puoi dirlo tu ora’; quello che aspetti arriva con i luoghi comuni e le frasi di un ricordo (vano e poco lacerante). Della schiera del cast, la parte femminile fa faville ma oramai il dado è tratto. A onor del vero Laura Dern (Amilyn) ci crede fin troppo … Chi sa cosa (non) inventeranno nel prossimo (e ultimo) episodio. Spade laser e raggi penetranti: Re Artù è domato, il mito molto meno.
Regia di routine senza veri e propri cambi di marcia.
Voto: 6-/10 (**½): sufficienza risicata…