Mentre il Primo Ordine si prepara a stroncare quello che resta della Resistenza, Rey consegna a Luke Skywalker la spada laser che fu sua, invitandolo a interrompere il suo esilio per salvare il mondo libero. Luke non ne vuole sapere e il Lato Oscuro tesse la sua trama letale attorno agli ultimi ribelli.
A questo punto è soprattutto una questione di attese. Un equilibrio tra la voglia di voler bene a una saga che si è portata via una fetta della nostra vita e l’inevitabile gelosia di chi avverte che quella fetta gli è stata sottratta, modificata o peggio ridicolizzata. Un equilibrio difficile da controllare, almeno quanto quello tra la Luce e il Lato Oscuro della Forza.
Perché gli eroi, che restano “giovani e belli”, rimangono per sempre associati a quei tre, Han, Leila e Luke, nei tre film che hanno cresciuto intere generazioni.
Niente li potrà sostituire. Anche solo una proiezione, un ologramma, uno spettro digitale estratto da quell’età dell’oro mette più soggezione della moltitudine di personaggi e creature che riempiono la sceneggiatura degli Gli ultimi Jedi. Rian Johnson lo sa bene. E per questo, sul volere forse della Disney, è stato designato come sicario per mettere fine, definitivamente, a quel ricordo ingombrante. A guidarlo è la volontà scientemente iconoclasta di chi sa che occorre cancellare il passato, affinché possa scattare un minimo di empatia per i nuovi personaggi.
D’altronde lo ripetono tutti incessantemente nella sceneggiatura degli Gli ultimi Jedi che il passato è passato, come in un mantra, desiderosi di voltare bruscamente pagina. L’emulazione che si avvicinava alla mimesi di Il risveglio della Forza diviene così strappo violento, in cui l’arma più letale a disposizione è la messa in ridicolo. Se un certo humour sbruffone – tipico di Han Solo – è sempre stato cifra stilistica della saga, Gli ultimi Jedi, dà libero spazio all’autoironia senza freni. Ogniqualvolta ci si avvicina a un dialogo solenne, grave e decisivo, subentra un motto di spirito o una battuta da sitcom, come se negli anni Dieci del nuovo millennio prendere sul serio una space opera fosse impossibile. In linea con la tendenza del blockbuster recente, specie disneyana, tutto è meritevole di un sorriso o di una strizzatina d’occhio, in dialoghi che potrebbero essere scritti servendosi delle faccine emoji. Ma non era forse il prendersi sul serio alla base della credibilità di Jedi e spade laser?
Mancano prove certe al riguardo, ma nel lungometraggio Gli ultimi Jedi cresce il sospetto che le morti o i cambiamenti repentini dei personaggi (Kylo Ren che distrugge il casco, per limitarsi a ciò che si può rivelare, per non rischiare di fare spoiler!) siano strettamente correlati al comune sentire dei fan. Scelte figlie più dei sondaggi disneyani presso il proprio popolo che di un’autentica coerenza narrativa. Sequenze epiche (i contrasti di bianco e rosso della battaglia finale, l’addestramento di Rey sull’isola) si alternano ad altre così superflue e maldestre da lasciare esterrefatti (la tediosa battaglia navale del prologo, il segmento in una sorta di Las Vegas sci-fi).
Oggi, in tempi che dipendono in maniera patologica dalla serialità, industrializzati e mercificati allo spasimo in una titanica catena di montaggio, forse un blockbuster può essere solo questo. Ovvero l’esatto opposto del progetto amatoriale e pionieristico portato a termine da George Lucas quarant’anni prima. Non conta la cura del dettaglio, conta principalmente l’accumulo. Dare al pubblico ciò che desidera, oppure strapparglielo all’improvviso per aumentare il suo desiderio. Consapevoli che, nell’impossibilità di confrontarsi con quel passato, non è rimasta altra scelta che abbatterlo, o riderci sopra. Questo Episodio VIII, il quale introduce con disinvoltura due nuovi personaggi come il ladruncolo truffaldino apri-codici CJ, interpretato da Benicio Del Toro, e l’Ammiraglio Holdo interpretato da Laura Dern, concede ai suoi personaggi il lusso di qualche verità in più rispetto al recente passato, ma riesce allo stesso tempo a convincerci che forse non tutto è andato veramente così. Da evidenziare una maggiore caratura del personaggio di Phasma , qui più convincente rispetto all’episodio VII.
Questo è anche e sopratutto l’ultimo film della compianta Carrie Fisher, nei panni della principessa Leila. Come la Disney e J.J Abrams riusciranno ad incastrare quest’icona lo scopriremo solo tra due anni, ma sicuramente il suo personaggio, il suo sguardo etereo ma severo, materno ma nel contempo ruvido ci mancherà.
Salvatore Cuccia