Starbuck - 533 figli e... non saperlo!: la recensione di Silvia Urban
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Starbuck – 533 figli e… non saperlo!: la recensione di Silvia Urban

Starbuck – 533 figli e… non saperlo!: la recensione di Silvia Urban

Un titolo così potrebbe lasciar pensare alla classica commedia demenziale made in Hollywood. E invece quello del canadese Ken Scott è il film che non ti aspetti: una delicata e divertente dramedy che, pur muovendo da uno spunto che può apparire poco credibile, se non addirittura pretestuoso (il regista giura di essersi ispirato ad un fatto reale), si rivela acuta e commovente. Per nulla infantile come il suo protagonista. Sì, perché David Wozniak è l’emblema del Peter Pan quarantenne: eterno inaffidabile, sempre in ritardo agli appuntamenti cruciali della vita, incapace di tenere insieme i pezzi di un’esistenza vissuta per lo più in solitaria, riluttante all’idea di assumersi responsabilità sia nella propria dimensione professionale che in quella sentimentale. Tutto cambia quando la sua compagna gli comunica di essere incinta e contemporaneamente un avvocato lo informa che le donazioni di sperma a cui si era prestato anni prima hanno generato 533 ragazzi, 142 dei quali hanno manifestato il desiderio di conoscere il loro padre biologico.

Da questa premessa comincia il percorso di evoluzione del protagonista, il lento passaggio da una categoria all’altra (da figlio a padre), l’assunzione del proprio ruolo adulto, la progressiva presa di coscienza della propria identità, che passa attraverso la scoperta di quella dei figli. I quali prima spia da lontano, poi si affianca loro in punta di piedi, offrendosi come amico e rivelando (in primis a se stesso) doti inaspettate.
Il ricorso a qualche stereotipo e semplificazione – specie nella caratterizzazione dei ragazzi: c’è il giovane campione di calcio, la minorenne tossicodipendente, il ragazzo gay, l’emo – è (in)evitabile. Ma laddove la sceneggiatura avrebbe potuto ricorrere al grottesco e alla risata facile, si sceglie invece di mantenere una narrazione più intima e profonda, calibrando il tono (sotto o sopra le righe) a seconda dei momenti. Un equilibrio rispettato da una regia trasparente che rinuncia a virtuosismi, mettendosi al servizio dei personaggi e limitandosi a monitorare il percorso di crescita di questo non più eterno bambino. Unica nota stucchevole: la colonna sonora.
Chissà se il remake hollywoodiano – che lo stesso Ken Scott ha già girato con Vince Vaughn – riuscirà a mantenere la stessa freschezza.

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Mi piace
L’equilibrio, sia a livello di scrittura che di regia, con cui si rende credibile e godibile una storia apparentemente pretestuosa. La bravura di Patrick Huard, altrettanto credibile in ogni step evolutivo del suo personaggio.

Non mi piace
Nella descrizione dei ragazzi così come delle dinamiche famigliari talvolta si ricorre a stereotipi ed eccessive semplificazioni. Nella seconda parte del film la narrazione segue uno schema ripetitivo. La colonna sonora spesso risulta invadente e stucchevole.

Consigliato a chi
Vuole lasciarsi sorprendere da una commedia che prende direzioni inattese, concedendo parecchie risate ma altrettanti spunti di riflessione. A chi vive con conflittualità la propria (attuale o futura) paternità.

Voto
3/5

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