Entrambi vincitori di un Golden Globe come miglior attori e entrambi nominati al premio Oscar, Eddie Redmayne e Julianne Moore sono la rappresentazione hollywoodiana di due antitetiche declinazioni della malattia degenerativa. Da una parte Redmayne interpreta Stephen Hawking, noto astrofisico affetto da atrofia muscolare, capace di comunicare solo grazie ad una macchina che trasforma i movimenti dei suoi occhi in parole. Dall’altra la Moore interpreta Alice, una professoressa all’apice della sua carriera accademica a cui viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer.
Se per il primo lo sguardo è la concreta manifestazione di un’attività intellettuale mai assopita, anzi desiderosa di emergere e continuare a produrre, per la seconda è il segnale di un naufragio interiore che porta la protagonista a perdersi. È Alice Howland la vera gone girl. Andata, persa, dimenticata (sarà lei la prima a dimenticare se stessa).
La strada che porta Alice a scomparire, pur rimanendo viva, ci viene raccontata dai registi Wash Westmoreland e Richard Glatzer con una delicatezza quasi timida e un rispetto immenso per il dolore. Risucchiato all’interno della drammatica tempesta che, senza preavviso, colpisce Alice in primis e i suoi cari poi (perché le malattie quando attaccano l’indipendenza hanno effetti devastanti non solo su chi ne è affetto), lo spettatore diventa intimo interlocutore del dialogo interiore di Alice, decisa a preservare la sua dignità, e testimone impotente della degenerazione del morbo.
Ha solo 50 anni Alice. Un bel marito, tre figli quasi perfetti, e la certezza che di lì a poco di lei non rimarrà che un contenitore vuoto. Tutto basato sulla sublime e mai patetica interpretazione di Julianne Moore, la progressione della malattia ci è mostrata con l’escamotage tecnico di alcune scene fuori fuoco, ma soprattutto attraverso gli intensi primi piani della protagonista, sempre più spettinata, sempre più mal vestita, sempre più persa.
A dare man forte alla prova della Moore sono gli attori che le girano attorno. Vale la pena citare Alec Baldwin nel ruolo del marito e Kristen Stewart in quello della figlia più piccola, la pecora nera della famiglia, che ha preferito la scuola di recitazione al college. Le due regalano perfetti e potenti duetti che, se ce ne fosse ancora bisogno, emancipano del tutto la Stewart dal ruolo della vampira Bella.
Still Alice, tratto dal romanzo omonimo di Lisa Genova (in Italia arrivato con il titolo di Perdersi) è un film sul dolore della malattia, sulla consapevolezza della fine e sul tentativo di rimanere se stessi. Senza riuscirci. Della “donna più intelligente che abbia mai conosciuto”, come dice il marito, alla fine rimarrà solo uno sbiadito ricordo. E a pensarci bene, tanto poco non è.
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Mi piace
L’interpretazione di Julianne Moore, la regia delicata e rispettosa dei registi, il cast di supporto.
Non mi piace
La costruzione del film – e quindi del dramma – è sin troppo schematica, non all’altezza dell’interpretazione di Moore e Stewart
Consigliato a chi
È in vena di lacrime, in cerca di un tipo di storia che l’Academy da sempre adora.
Voto: 3/5
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