Still Alice: la recensione di polebest11
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Still Alice: la recensione di polebest11

Still Alice: la recensione di polebest11

Pochi anni fa “Amour” ci aveva mostrato con molta angoscia la lenta ed inesorabile agonia che aveva colpito la povera Anne (Emmanuelle Riva) dopo un ictus e l’incredibile dimostrazione di amore di suo marito George (Jean-Louis Trintignant). Il tutto era valso al film di Haneke un Oscar come miglior film straniero ma non la statuetta per la Riva, vinta nell’occasione da Jennifer Lawrence per “Il lato positivo”.
Quest anno invece tutto potrebbe cambiare. Ovvero, abbiamo ancora un film che ha ancora come protagonista una donna ed una malattia che troppo prematuramente sta sgretolando la sua vita pezzo dopo pezzo. Ma quest anno l’Oscar per l’interpretazione di questo ruolo a mio parere ci sarà. Ci sarà perchè “Still Alice”, diretto dal duo Richard Glatzer e Wash Westmoreland ha nell’interpretazione di Julianne Moore il suo punto di forza.
E come la statuetta di miglior attore credo sia già certa di finire nelle mani di Eddie Redmayne, quella per la miglior attrice più che mai quest anno sarà sua. Nonostante l’interpretazione della stessa Moore in “Maps to the stars” sia dello stesso livello o forse superiore a quest’ ultima quest anno sembra non esserci storia in questa nominations.

In “Still Alice” la Moore interpreta Alice Howland, una famosissima linguista e insegnante alla Columbia IUniversity, madre di 3 figli e sposata con John (un Alec Baldwin che da “Blue Jasmine” non riesce a trovarsi una moglie fisicamente e psicologicamente sana ) a cui viene diagnosticato il morbo di Alzheimer, nonostante la sua giovane età.
La donna, completamente realizzata nel lavoro e nella famiglia, che ha fatto sempre della memoria e della proprietà di linguaggio due dei suoi migliori metri di valutaizone vede crollarsi il mondo addosso : proprio quello che le riusciva meglio, è quello che piano piano non sarà più in grado di fare.
A poco a poco sono i luoghi in cui va a correre, le date, gli appuntamenti a diventare difficili da ricordare, per poi cose sempre più banali, e per questo importanti.
La sua famiglia, ed in particolar modo Alice, dovranno far fronte con tutte le loro forze a questo male giunto troppo presto, e dalla distruttività sempre più crescente.

Dopo l’Ictus di Amour ora ci troviamo di fronte ad un altra malattia che piano piano porta a disgregare più mentalmente che fisicamente la sua vittima.
Non scegliendo grosse soluzioni di sceneggiatura, colpi di scena, o di puntare più sulla storia e sui personaggi secondari, il duo di registi Glatzer e Westmoreland girano e costruiscono il film con il personaggio di Alice sempre al centro delle loro riprese e della narrazione stessa. La Moore praticamente è in ogni inquadratura, quasi come se Alice stessa oltre a cercare di portare con sè pià ricordi possibili della sua vita prima che questi svaniscano voglia rimanere protagonista sulla scena il più a lungo possibile.
L’interpretazione dell’attrice statunitense è veramente di qualità, e quest lo si nota in tutte le scene in cui ella è presente.
Altra scelta azzeccata è quella di non dare troppo spazio ai personaggi secondari seppur essi risultino ben inseriti nel contesto : sappiamo bene chi sono, cosa fanno e come prendono la notizia della malattia della madre, e capiamo molto bene le loro reazioni e mosse future. Ognuno dei familiari metabolizzerà in maniera differente la malattia di Alice e agirà di conseguenza in maniere differenti, ma questa è una semplice cornice. Quella ce rimane sempre presente e protagonsta in ogni scena è Alice, è il suo essere consapevole di perdere piano piano quel su essere cosciente di tutto ciò che la circonda e di non poter più essere padrona di sè stessa, e questo ce lo mostra in maniera quasi totalmente la Moore, e molto meno il film in sè per sè ( a parte una delle scene in cui la donna va a correre).
Gli alti e bassi che viviamo durante la pellicola tra momenti di amore ed episodi duri legati all’avanzare della malattia non sono esageratamente strazianti e non portano lo spettatore alla pura commiserazione della protagonista, ma danno seppur in modo molto malinconico e drammatico un quadro chiaro di cosa voglia dire affrontare questa brutta malattia, grande spauracchio di questo decennio come l’AIDS lo fu per gli anni 90’.

Da segnalare oltre alle splendida interpretazione della Moore, un Alec Baldwin non da buttare ed una Kristen Stewart che si sta sempre più spogliando dei panni ingombranti della saga “Twilight”.

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