Storia d'inverno: la recensione di Andrea Facchin
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Storia d’inverno: la recensione di Andrea Facchin

Storia d’inverno: la recensione di Andrea Facchin

Parte da una domanda universale la trama di Storia d’inverno, fantasy che segna il debutto alla regia di Akiva Goldsman, sceneggiatore premio Oscar per A Beautiful Mind: e se il destino avesse un piano prestabilito per ognuno di noi? L’interrogativo è alla base del romanzo di Mark Helprin da cui è tratta la pellicola, che racconta della struggente storia d’amore tra Peter Lake (Colin Farrell), un ladruncolo della New York del 1916, e Beverly Penn (Jessica Brown Findlay), bellissima e sfortunata aristocratica afflitta da una malattia che equivale a una condanna a morte.

Il film si apre con un montaggio alternato tra la Grande Mela del presente e quella del 1845, che ci racconta le origini di Peter, i cui genitori vennero bloccati prima di imbarcarsi per New York perché il padre aveva contratto la TBC (dall’accento sembrano provenire dall’Europa dell’est).

Per consentire almeno al figlioletto di inseguire il sogno americano, i due calarono il bimbo in mare ancora in fasce, mettendolo a bordo di una scialuppa… che altro non era che il modellino di una barca a vela. Pochi elementi, ma sufficienti per far capire l’atmosfera della pellicola, in bilico tra realtà e magia, con la bilancia a pendere di più dalla parte di quest’ultima.

Un altro salto temporale, quindi, ci porta nel 1916, con Peter, diventato un ladruncolo più per sopravvivenza che per avidità, in fuga dagli scagnozzi di Pearly Soames (Russell Crowe), il boss più crudele di Manhattan e suo ex capo. Il ragazzo ha infatti deciso di cambiare vita, suscitando l’ira di colui che gli ha insegnato i segreti del mestiere, accudendolo come un figlio. E con tipi come Soames è meglio non scherzare: è infatti un demone alle dipendenze del diavolo in persona, e il suo compito, oltre rubare e uccidere, è cancellare la speranza dalla faccia della Terra. Peccato che Peter prima incontri uno splendido cavallo bianco, capace di volare, che si rivelerà il suo spirito guida, e poi Beverly, mentre sta cercando di svaligiarle casa. Questo cambia le carte in tavola: il colpo di fulmine tra i due è istantaneo, e Peter viene investito con forza dalla positività della giovane, nonostante la sua condizione. La loro relazione, capace di superare le barriere del tempo e della morte – non senza difficoltà, che però non vi sveliamo -, diventa così un’arma micidiale contro il Male, forza sempre presente e minacciosa.

Goldsman firma un film a due facce, con un primo atto che trasuda romanticismo da tutti i pori, arricchito dallo scontro tra angeli e demoni che fornisce alla narrazione il ritmo necessario a tenere l’attenzione alta, e un secondo atto, ambientato ai giorni nostri, che si avvita clamorosamente su se stesso, perdendo intensità e incisività negli snodi fondamentali. La dicotomia tra luce e oscurità così ben enfatizzata all’inizio si affievolisce piano piano; Russell Crowe, diabolico come mai nella sua carriera, smarrisce improvvisamente (e inspiegabilmente) il suo appeal malefico; e il quesito che fa da motore alla vicenda diventa una domanda che i protagonisti (e il voice over di Beverly) si pongono in modo così reiterato da diventare quasi ossessivo. Tutto assume, a livello narrativo, contorni di improbabilità che mettono in discussione quanto si è visto nell’ora precedente, e questo nuoce all’economia della storia, portando a un finale troppo affrettato.

La sensazione è che il regista non solo non sia riuscito a condensare al meglio le 800 pagine dell’opera letteraria di riferimento, ma abbia perso la bussola strada facendo, tra un salto temporale e l’altro, realizzando una specie di “copia e incolla” degli eventi.

Ultima pecca, che per alcuni potrebbe anche essere la chicca del film: il cameo di Will Smith nei panni di Lucifero, il diavolo meno inquietante che la storia del cinema ci abbia mai regalato.

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Mi piace
Il primo atto è una fiaba romantica godibile, con personaggi ben delineati, un Russell Crowe cattivissimo (e sfigurato), e un’atmosfera magica coinvolgente.

Non mi piace
Il film si perde su se stesso non appena si entra nella seconda parte, dove abbondano le banalità e la storia perde bruscamente di appeal.

Consigliato a chi
Ha una ragazza con un debole per le grandi storie d’amore, quelle eterne che sopravvivono al tempo e alla morte. In quest’ottica, è il film perfetto per San Valentino.

Voto: 2/5

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