Mancano sette giorni all’Apocalisse. Questo è quello che ci avverte una fredda didascalia. Tra crisi di coscienze vaticane, politici dalla libido elevata, boss della malavita e giovani rampanti tanto feroci quanto incoscienti, l’aria di Roma è irrespirabile, coperta da una cappa di tensione che nemmeno la pioggia torrenziale riesce ad allontanare.
C’è un grande progetto sullo sfondo: trasformare Ostia in una piccola Las Vegas. Tra concessioni, appalti e tasche da riempire, la corsa all’oro coinvolge tutti. Ed è brutale, senza regole, spietata.
Suburra, secondo lungometraggio di Stefano Sollima dopo ACAB, marcia sullo straordinario successo delle serie Gomorra e Romanzo Criminale, ma al di là del tema trattato gode di un identità tutta personale. Con un cast ricco di nomi importanti quali Favino, Germano e Amendola, principalmente, la sceneggiatura si basa su un solido intreccio narrativo di storie parallele, apparentemente scolastico inizialmente ma che dimostra la propria eleganza mano a mano che il cappio intorno al collo dei protagonisti si stringe.
L’atmosfera noir che aleggia nella fotografia di Sollima è un disegno su tela, la pennellata di un artista che senza troppi sforzi ne consolida l’appartenenza ad un genere rinnovato, quasi ne detenesse il monopolio.
L’altra faccia della luna, quella che conosciamo ma che rifiutiamo di accettare, è una carrellata di ferocia, che sia un assassinio efferato tra bande di quartiere oppure uno scambio di favori tra figure di governo. A questi livelli qual’è la differenza? Ogni volta che Sollima va a bersaglio avvertiamo una fitta al cuore, perchè tutto questo c’è ed è cosi.
Trasforma gli uomini in bestie, gli agnelli in leoni e viceversa. Gli equilibri si spostano di continuo, il luna park fa divertire tutti ma quando è il momento di riscuotere non guarda in faccia a nessuno.
I toni alti di un registro cupo rendono il cinema di Sollima unico, capace di destreggiarsi tra thriller e dramma con una facilità disarmante. Se la colonna sonora è molto presente, sono invece i momenti in cui manca, dove il suono in presa diretta accentua la scena sullo schermo, a trasferire la tensione oltre lo schermo. Il ritmo singhiozza necessariamente, ma quando trova modo di sfogare la creatività partorisce un paio di scene veramente di classe. Vedere la sparatoria al supermercato per credere.
Bene Amendola nei panni del “Samurai”, ex componente della banda della Magliana e ora figura aulica della malavita capitale con gli artigli che arrivano fino in Vaticano; qualche riserva per Favino che presta la sua indiscutibile dote all’onorevole Malgradi, esponente di destra del parlamento che mette in moto un’ecatombe di conseguenze inimmaginabili. Elio Germano è invece Sebastiano, uno che organizza salotti ma che si tiene in disparte fino a quando la vita non decide di calargli una scure sul collo trascinandolo all’inferno senza nemmeno rendersene conto.
Suburra è un ottimo film, un dietro le quinte torbido di una realtà cosi lontana e cosi vicina. Non manca qualche virtuosismo di troppo, soprattutto nella prima parte e nel finale, forse troppo “buonista”, ma compensa pienamente con uno stile d’autore che non sfigurerebbe in contesti oltre confine. Abituiamoci alla regia di Sollima perchè diventerà, se non lo è già, un capostipite di genere.
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