I diversi punti interrogativi che ancora aleggiano dietro la morte di Stefano Cucchi lasciano una certa libertà di movimento alla mano di Alessio Cremonini, regista e sceneggiatore di questa produzione Netflix. Per quanto sia impossibile non lasciarsi coinvolgere da una sceneggiatura tanto forte quanto impavida, trainata da un Alessandro Borghi eccezionale, è altrettanto difficile approcciare la pellicola senza pregiudizi.
“Sulla mia pelle” ruggisce aggrappandosi al lato drammatico di una storia che come tante altre nel nostro paese hanno la brutta abitudine di avere più domande che risposte. E’ un film che segue il filone di opere come Romanzo di Una Strage, Acab e Diaz! e che pone gli accenti contro gli eccessi, contro le tensioni e soprattutto contro l’impossibilità di accettare verità disorientanti, tutte legate attorno ad un apparato burocratico inquietante.
Un fatto. Stefano Cucchi viene arrestato la notte del 15 ottobre 2009 da carabinieri che lo trovano in possesso di droghe. Con lui c’era Emanuele, un amico che avvalora l’ipotesi di spaccio. Morirà una settimana dopo in ospedale, tumefatto, magrissimo.
Cosa sia successo in quei sette giorni Cremonini prova a spiegarcelo con una regia straziante e dolorosa, che malgrado la durezza del contesto non riesce mai a farci chiudere gli occhi. Dietro una regia delicata, ma diretta, emerge un crescendo di pathos che ci accompagna in breve tempo alla scena spartiacque della pellicola. Che non si vede ma si digerisce con un nodo alla gola, lasciando alla libera interpretazione la (in)possibilità di non credere alla storia di un ragazzo sbadato che cade dalle scale. Stefano lo ripeterà fino allo sfinimento, ci scherza persino su. Finché può, finché riesce a convivere con la lucidità che in certe situazioni dopo uno schiaffo è meglio porgere l’altra guancia. Lo ripete a guardie, dottori, agenti che si riparano dietro un certificato medico che scotta più del fuoco; e lo nega in quelle poche occasioni in cui gli occhi di chi parla gli stiano regalando l’illusione della fiducia.
Alessandro Borghi rasenta la perfezione quando si tratta di restituirci la sofferenza fisica e mentale di una figura estremamente fragile, soffocata da una compassione dei familiari talmente tangibile da indebolirlo ulteriormente. Il Cucchi di Cremonini appare come una vittima che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato: uno schieramento del regista romano elegantemente coraggioso e reso più toccante dalle interpretazioni di Max Tortora e Milvia Marigliano nei panni dei genitori, e di Jasmine Trinca in quelli della sorella, l’unica figura forte che non si lascia accecare dalla pietà ma in grado di alzare la voce quando viene superato ogni limite.
Una lentissima sofferenza dietro a tanti perché, con una ricostruzione dei fatti meticolosa, dal tour nei vari comandi dei carabinieri, fino alla scena del tribunale in cui Cucchi, fresco di “caduta”, si dimostra educato e collaborativo davanti ad un giudice che nemmeno lo degna di uno sguardo: la fotografia più nitida di uno status già indelebilmente “marchiato”. Un’atmosfera rassegnata, pennellata da dialoghi, sguardi e scenografie dai toni cupi e desolanti, che vanno a stringersi attorno al collo del protagonista sequenza dopo sequenza allontanando in modo esasperante ogni possibilità di speranza di giustizia.
Sulla Mia Pelle è un film che sceglie una presa di posizione e la mantiene senza esitare. Lo fa focalizzando tutta l’attenzione sull’interpretazione di uno degli attori più talentuosi in ascesa: Borghi e Cucchi diventano un’unica maschera sulla quale passa la testimonianza di una storia incredibile e sconcertante che diventa ben presto un caso di stato che scuote l’opinione pubblica. Un fiume di sentimenti che in poco più di un’ora e mezza porta con se una scia di rabbia, indignazione e sconforto da sentire sulla (propria) pelle.
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