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Suzume: la definitiva elaborazione animata dei traumi del Giappone. La recensione del film di Makoto Shinkai

Presentato in Concorso durante l’ultima edizione della Berlinale, l’opera ultima del regista di Your Name è ora al cinema anche in Italia

Suzume: la definitiva elaborazione animata dei traumi del Giappone. La recensione del film di Makoto Shinkai

Presentato in Concorso durante l’ultima edizione della Berlinale, l’opera ultima del regista di Your Name è ora al cinema anche in Italia

Suzume
PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

Makoto Shinkai nel bene e nel male è diventato, nel corso dell’ultima quindicina d’anni, uno tra gli autori più riconoscibili nel panorama dell’animazione giapponese, sia per l’iperstilizzazione delle sue opere, che per la costante esistenzialista presente in esse, nelle quali l’individuo è perennemente interconnesso all’universale.

Per la notorietà ottenuta anche in Occidente, il regista è stato spesso denominato il successore della personalità più significativa di questo ambito artistico, ovvero Hayao Miyazaki, nella maggior parte dei casi erroneamente o semplicemente per il fatto di essere stati tra i pochi esponenti a superare tale barriera comunicativa e a sfociare fuori dal contesto orientale.

Suzume, tuttavia, conferma per una volta tale accostamento: la storia d’amore tra una liceale (che dà il titolo al film) e un ragazzo (Sōta) intrappolato nel corpo di una sedia, unico lascito della madre di lei, presenta una forza immaginifica e una fascinazione per l’astratto vivide e pulsanti, che rivivono, finalmente, anche al di fuori della filmografia della punta di diamante dello Studio Ghibli (citato apertamente dai personaggi del film, quanto dalla scelta dell’ambientazione di partenza, la Prefettura di Miyazaki).

L’ineccepibile perizia tecnica dei film precedenti rimane intatta, ma il ritratto di un Sol Levante lindo e privo di imperfezioni formali viene stavolta “sporcato” da pestiferi gatti dagli improbabili poteri e da lugubri vermi oscuri, fuoriuscenti da misteriose porte sparse per l’intero Giappone.

Questi varchi di accesso all’Al di là (sottotesto buddista, che permea l’operato dell’autore), che Suzume e Sōta sono incaricati di richiudere, costituiscono un ulteriore esempio di soglie liminali, figure simboliche che popolano la settima arte, tra verità e finzione, realtà e rappresentazione, due vasi comunicanti tra loro.

Suzume, infatti, mai come prima nella filmografia di Shinkai, presenta una forte aderenza con la Storia giapponese, apparendo sempre più chiaro allo spettatore, con la prosecuzione dell’intreccio, quanto l’opera tenti di rielaborare il tragico dramma collettivo dell’11 marzo 2011, il terremoto e maremoto del Tōhoku, il quarto disastro naturale più eclatante dall’inizio del 1900, con l’avvento delle registrazioni moderne di tali fenomeni.

La storia di Suzume, che ha perso la madre proprio in quella occasione, diventa storia universale, che ancora tormenta un popolo tuttora sfiancato. Il lungometraggio di Shinkai, però, afferma a gran voce che l’esorcismo del male avvenuto è possibile esclusivamente tramite l’accettazione del ricordo, che rivive sul grande schermo come straziante promemoria della forza dell’umanità.

Foto: CoMix Wave Films

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