Sono passati vent’anni e per Renton, Spud, Sick Boy e Begbie è tempo di fare i conti. Secidimila sterline, il pretesto per scappare da un’ autodistruzione certa che li aveva portati a sbranarsi tra loro come animali. Un’altra vita, un’altra epoca.
E questo è il concetto che fa da punto di partenza, limpido e deciso, e che fa capire fin dalle prime battute che Traispotting 2 ha motivo di esistere. Danny Boyle ci avrà pensato sopra mille volte prima di rimettere le mani su una sceneggiatura generazionale di un cinema cult. Il primo Traispotting, uscito vent’anni fa, aveva lasciato un’impronta profonda, più del triste declino fotografato da una società britannica dipinta con un’escalation drammatica che andava oltre la tragedia, prossima alla disperazione.
Due decenni dopo, Boyle ricomincia dagli indelebili strascichi che hanno cicatrizzato le vite dei suoi personaggi. Invecchiati, rassegnati, redentivi oppure immutati. Lo fa con il solito sprint di una regia tonica, graffiante e di stile, con una colonna sonora trascinante e con il carisma di attori determinati.
Traispotting 2 riparte da Renton, quello che era scappato con i soldi. Quello che più di ogni altro aveva trovato le forze per scappare dall’inferno, aggrappandosi a quel gesto tanto vigliacco quanto coraggioso. Una caratura diversa rispetto al resto della banda: Sick Boy è diventato proprietario di un pub alla deriva e si dedica ancora ad attività di bassa criminalità; Spud è sempre dipendente dall’eroina, tanto da impedirsi di continuare il rapporto con la compagna e il loro figlio. E poi c’è Begbie, condannato a venticinque anni di galera e con il dente ancora avvelenato verso Renton. Ma se Edimburgo è sempre la stessa, Renton no e dopo un brutale riavvicinamento con Sick Boy e la solita carezza disperata rivolta a Spud, la verità salta fuori. La vita ad Amsterdam va a rotoli, forse troppo normale per chi abituato a scottarsi, e l’improvviso ritorno a casa non diventa affatto una faccenda di pochi giorni. Si riparte dal basso, modellando uno stile ben noto, fatto di ricordi di un passato in chiaroscuro ed idee strampalate. Come quella di Sick Boy di organizzare un “centro ricreativo” al piano superiore del suo pub. Intanto, alla prima occasione, Begbie fugge dal carcere.
Pur non avendo la solita grinta impudente e pretenziosa del primo film, T2 riesce comunque a fare centro su un proseguimento della storia coinvolgente e per niente fuori tempo. Al netto di una quasi totale assenza della fatiscente società che faceva da “chioccia” ai suoi protagonisti, questo secondo capitolo si regge esclusivamente sulle spalle di Ewan McGregor, Ewen Bremner, Robert Carlyle e Jonny Lee Miller, sottolineandone ancora una volta la profonda empatia che i loro personaggi riescono a trasmettere. Dalla rabbia di Begbie alla rassegnazione di Sick Boy, passando per la struggente (e commovente) tristezza di Spud, fino ad arrivare a Renton e ai suoi barlumi di umanità, l’anello conduttore di un branco alla deriva.
T2 non delude i fan, gira a marce più basse ma piace. Resta una black dramedy che non rinuncia a un velo di humor inglese. Se non sarà amore puro come il primo episodio, non sarà nemmeno un soffio nel vento. Chissà che il tempo non sia amico di Boyle anche questa volta.
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