T2: Trainspotting: la recensione di Cristian_90
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T2: Trainspotting: la recensione di Cristian_90

T2: Trainspotting: la recensione di Cristian_90

Danny Boyle (Trainspotting; 28 giorni dopo; The Millionaire; Steve Jobs) torna a dirigere i quattro mascalzoni di Scozia in un sequel, T2 Trainspotting, molto meno irriverente e scorretto del primo film cult del 1996. La nostalgia è perennemente presente in questo secondo episodio, ben costruito senz’altro, ma, al contrario del primo, troppo conformista. Alla sceneggiatura di John Hodge (Trainspotting; In trance) va una piena sufficienza seppure non caratterizzata da battute originali o intriganti. Fotografia di Anthony Dod Mantle (28 giorni dopo; L’ultimo re di Scozia; The Millionaire; The Eagle; Rush; Snowden). Buone le interpretazioni di Ewan McGregor e Jonny Lee Miller, mentre sembrano più convincenti e coinvolgenti quelle di Ewen Bremner e Robert Carlyle. Insipida fino al midollo Anjela Nedyalkova.
Mark Renton (Ewan McGregor) dopo vent’anni vissuti ad Amsterdam, dove ha moglie e figli, fa ritorno nella sua Edimburgo. Sua madre è morta, mentre il padre continua a vivere nella casa di famiglia. I suoi amici sono nelle solite disastrate condizioni: Spud (Ewen Bremner) è ancora un eroinomane sull’orlo del suicidio; Sick Boy (Jonny Lee Miller) è diventato un pappone e un truffatore, oltre a continuare la sua attività di spacciatore; Begbie (Robert Carlyle) è appena scappato di prigione e, come sempre, pronto a delinquere. Si ricordi che Mark lasciò la città con 12 mila sterline raggirando i suoi cosiddetti “amici”, delle cui reazioni adesso dovrà fare i conti.
Danny Boyle, con T2 Trainspotting, cambia decisamente (o quasi) registro rispetto al primo esaltante episodio, scegliendo una strada meno rischiosa ma non per questo sbagliata. Il regista inglese, come detto, realizza un’opera poco spregiudicata, ricoperta da un velo di nostalgia che guarda al passato e, in questo caso, agli eventi che hanno caratterizzato il primo film del 1996. A parte l’impronta generale politicamente corretta data alla nuova opera, poco o nulla cambia nelle caratteristiche dei personaggi che continuano a vivere vite degradate. Gli anni (ben 20) sono passati ma le vecchie strade non sono state abbandonate. Mark, nel finale del primo film, prima di lasciare temporaneamente Edimburgo, proferisce le famose parole “scelgo la vita”, ovvero decide di guardare avanti, di cambiare e lasciarsi il passato alle spalle. Al contrario, il suo rientro in patria si rivela essere un ritorno, sotto tutti i punti di vista, a ciò che era e che aveva rifiutato di continuare ad essere, ovvero un uomo dalla personalità debole. La mano di Boyle alla regia si avverte fin da subito, con inquadrature e modalità di realizzazione delle scene ben aderenti allo stile che lo ha caratterizzato anche nel primo Trainspotting. Il film è permeato di immagini appartenenti al precedente episodio, distribuite tramite mini flashback o addirittura sovrapposte alla realtà attuale. La trama, senza troppe pretese, risulta godibile fino all’ultimo, assumendo, ad un certo punto, un risvolto thriller dal momento in cui Begbie esce dal carcere. L’intreccio è, in definitiva, abbastanza semplice, conforme ai canoni di un cinema di medio-basso livello. I nostri protagonisti, come già detto prima, non sono evoluti in 20 anni ma, anzi, li troviamo a fare i conti con le conseguenze delle loro vecchie e reiterate azioni. Trama a parte, il film è incentrato principalmente sull’incontro che diviene scontro tra i quattro manigoldi che meditano vendette (nei confronti di Mark), ridanno vita ai ricordi e a situazioni già viste nel 1996. Insomma, i personaggi li lasciammo miseri e miseri sono rimasti, nonostante Spud e Mark siano, tra i 4, i soli che abbiano tentato, pur fallendo, di correggere il tiro delle loro vite. Se in Trainspotting le ambientazioni edimburghesi sudice e marce andavano a braccetto con la psicologia dei personaggi, adesso invece la coesione tra i due elementi manca. Ma, per quanto tutto cambi (solo nella forma) intorno a loro, i nostri protagonisti restano inesorabilmente gli stessi. Anche il clima allucinogeno espresso tramite scene diventate storia è ormai un vecchio ricordo. Evidenti e gradevoli alcune scelte del reparto fotografico guidato da Anthony Dod Mantle; tra queste credo sia significativa, e sempre volta a richiamare inquadrature e scene già viste nel primo film, l’immagine di Mark e del padre seduti ai loro soliti posti, al solito tavolo nella casa di famiglia, mentre sulla sedia un tempo occupata dalla madre del ragazzo, ormai defunta, si colloca l’ombra del figlio. La colonna sonora, marchio di fabbrica del prodotto, è leggermente rivisitata ma è la stessa del precedente capitolo, a ricalcare ancora di più, come se non bastasse, il legame indissolubile che lega le due pellicole. Riadattato in maniera apprezzabile e in chiave moderna è il monologo “scegli la vita”. Ovviamente, portare sullo schermo il sequel (o, in altri casi, un reboot) di un cult del genere è la cosa, forse, più difficile per un regista. Purtroppo i paragoni sono inevitabili quanto inevitabilmente inutili. In definitiva, T2 Trainspotting è un buon prodotto che non delude gli affezionati non pretenziosi. L’operazione nostalgia attuata dal regista, nonché le buone capacità recitative messe in campo dagli attori, servono sicuramente ad alzare il livello di un’opera che, di per sé, slegata totalmente dal primo episodio, non gode di un intreccio particolarmente rilevante.

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