Ted fa parte del filone d’oro del cinema comico americano, quello politicamente scorretto, citazionista e scurrile, ma anche capace di contaminazioni e sperimentazioni linguistiche non banali, che si associa in generale al Saturday Night Live.
Il guaio è che negli ultimi 15 anni, soprattutto grazie a Judd Apatow e al Frat Pack, questi film hanno avuto un tale successo che oggi distinguere la vena anarchica dal marketing è praticamente impossibile. La conseguenza, ad esempio, è che i film con Will Ferrell non fanno più ridere, incassano pochino anche oltreoceano e spesso escono straight to video. C’è insomma bisogno di trovare una chiave di scrittura e messa in scena per creare ancora una diversità e quindi valore.
Judd Apatow, che citavamo poco fa, l’ha trovata accentuando la vena intimista, quasi da commedia indie, mentre per Seth MacFarlane, il papà dei Griffin e di Ted, quella chiave è nel puro slapstick, ovvero negli sgambetti, nei pugni in faccia, nei salti e nelle eplosioni, cioè nella dinamica dei corpi. Lo slapstick è lo strumento comico più vecchio del mondo: è la cifra del circo, l’effetto speciale a costo zero. Ted è l’apice della sua applicazione contemporanea e digitale: il modo in cui l’orsetto di peluche viene animato in un contesto live-action per creare effetti comici elementari è straordinario. E non solo sul fronte della meccanica del movimento, ma anche su quello dell’intonazione/doppiaggio (fatto, in versione originale, dallo stesso MacFarlane) e della messa in scena, delle reazioni a quanto gli capita attorno.
La storia: Ted si sposa con Tami-Lynn, ma il suo matrimonio non funziona a lungo. Per provare a salvarlo, decidono di adottare un bambino. Questo mette in moto una valanga burocratica e legislativa che porta Ted in tribunale, a dover dimostrare di essere una persona e non una proprietà, onde poter riacquistare i diritti civili perduti. Sullo sfondo c’è anche un complotto della Hasbro (che finanzia il film infischiandosene del proprio ruolo, a testimonianza di quanto dicevamo prima) per rapirlo e studiarlo, così da poterlo replicare.
Ecco, quando il film si sposta sul versante sentimentale e politico, iniziano le noti dolenti, nel senso che il dibattito sulla natura di Ted è superficiale e abbastanza cretino, ed è difficile che la sua lotta per il matrimonio e l’adozione, con tutto il suo portato ideologico, possa coinvolgere o scandalizzare qualcuno.
Piuttosto è interessante la virata nerd-friendly dell’ultima parte del film, ambientata durante il Comic-Con di New York, con un netto cambio di registro registico (uno dei tanti, il film “mima” altri generi con intento parodico) e una cascata di citazioni pop che faranno la gioia di geek e cosplayer. E che dicono soprattutto della posizione furba che il cinema di Seth MacFarlane vuole ritagliarsi, ovvero mani e piedi dentro quell’immaginario di riporto che oggi mantiene un’intera industria, fatto di pupazzi e costumi da quattro soldi, nostalgia e icone chiave (Samuel L. Jackson…), di cui Ted sembra sempre di più un’estensione naturale, la ciliegina sulla torta.
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Mi piace: il gusto slapstick di cui è intriso il film.
Non mi piace: il tentativo frivolo e superficiale di trattare argomenti seri, come la vera natura di Ted.
Consigliato a chi: a chi ha amato il primo; ha voglia di gag intelligenti ed è abbastanza nerd da godersi la parte finale ambientata al Comic Con di New York.
VOTO: 4/5
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