Grace (Mackenzie Davis), soldato geneticamente potenziato, viene dal futuro per salvare Dani Ramos (Natalia Reyes), giovane operaia messicana impiegata in una fabbrica automobilistica. Dal futuro per ucciderla arriva pure Rev-9 (Gabriel Luna), un Terminator evoluto, indistruttibile e proteiforme, modificato in metallo liquido. Dal passato ritorna invece Sarah Connor (Linda Hamilton), che caccia e abbatte Terminator da decenni con l’aiuto di una fonte misteriosa.
Unite dal destino, le due donne lottano nel presente per proteggere il futuro capo della resistenza contro l’Intelligenza Artificiale Skynet. Al di là del muro e decise a sbarcare in Texas per recuperare l’unica arma che possa fermare un Rev-9, chiedono aiuto a un vecchio amico: un T-800 (Arnold Schwarzenegger) che integra il team femminile e le dà ancora di santa ragione…
Collocato ventisette anni dopo la distruzione della Cyberdyne Sistems, Terminator: Destino Oscuro, com’è noto, si ricollega direttamente a Terminator (1984) e Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991), sgombrando la strada dal proseguo del franchise, dai risultati quasi sempre controproducenti, e risalendo la corrente per attingere alla sorgente dell’ispirazione primaria di James Cameron, richiamato in gioco come co-autore del soggetto e co-produttore.
Il nuovo capitolo della saga è un ritorno alle origini a tutti gli effetti, a cominciare dal personaggio più atteso, Sarah Connor, alla ribalta diciott’anni dopo l’ultima volta. La sceneggiatura di David S. Goyer, Justin Rhodes, Billy Ray e la regia del Tim Miller di Deadpool, in questo senso, sono funzionali alla causa. Mettendosi alle spalle le battute d’arresto di Terminator: Salvation e Terminator: Genisys, gli autori confezionano prima di tutto un ottimo action movie, coriaceo ed efficace sul piano spettacolare, con una scrittura di grana grossa ma non invasiva e una resa visiva che fa il pieno di steroidi ma anche di un innegabile distillato di adrenalina purissima.
Sia chiaro, tuttavia, a scanso di equivoci: il furore artigianale e il portato rivoluzionario dei due Terminator di Cameron non viene certo bissato, perché la sofisticazione di quella riflessione sul rapporto tra uomo e macchina si muoveva su coordinate non replicabili, che affondavano le loro fondamenta nella nuova carne degli anni ’80 di cronenberghiana memoria e in un clima culturale di più radicale pessimismo sulla contaminazione tra il senziente e l’inorganico rispetto a quello odierno, più anestetizzato e compiacente. Destino Oscuro, però, pur poggiando su un impianto cinematografico alimentare e di consumo, è comunque un prodotto agile, mai paludato e al passo coi tempi, per diverse ragioni.
Anzitutto risuona fortissima al suo interno presa di posizione anti-trumpiana, sbandierata ma legittimata nell’ambientazione al confine tra Messico e Stati Uniti con una donna latina da salvare. E poi c’è il femminismo di fondo, tutt’altro che latente, che conduce tre donne ad affrancarsi muscolarmente in un ingranaggio che non potrebbe essere più virile di così. Il road movie, a questo proposito, è congegnato in maniera millimetrica su un trittico capitanato in scioltezza dalla rediviva Sarah Connor, che espone il proprio invecchiamento con un’autoironia e una sfacciataggine commoventi.
E poi ci sono da registrare l’upgrade della dimensione tecnologica, che stavolta si confronta con la tracciabilità di massa a suon di smartphone e mezzi di comunicazione digitali, e naturalmente anche la riapparizione, ammaccata ma estremamente divertita, di Schwarzenegger, che torna a condividere la scena con la Hamilton in una reunion che, un po’ come tutta l’operazione, porta con sé un grado di fan service e di crepuscolarismo 2.0 inalienabile ma non certo fastidioso. Tutte componenti che ne fanno con ogni probabilità, tenendo relativamente basse le ambizioni e al culmine del martellamento audiovisivo e di una resa dei conti tutta fuoco, fiamme e lacrime, il miglior Terminator oggi possibile.
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