Il found footage non è un genere, è un linguaggio; un modo di mettere in scena le storie. Teoricamente, quindi, film così – dalla grammatica sfuggevole, aleatoria – potrebbero ripresentarsi all’infinito, non diversamente dai film in bianco e nero. La frequenza con cui si sono visti in sala negli ultimi anni è una questione commerciale, l’esito degli umori del botteghino. Essendo un tipo di cinema relativamente poco costoso, viene in generale affidato a registi giovani, spesso al primo lungometraggio: tutto questo contribuisce a dargli un’aura di modernità un po’ ruspante, perfino barbara. Fa quindi un certo effetto trovare un maestro come Barry Levinson – un uomo di 70 anni abituato a girare film di eleganza impeccabile, ma caldi, e perfino buffi, come Rain Man, Bugsy o Sesso e potere – al timone di un progetto come The Bay, che è found footage puro e horror puro, di quelli che mischiano ambientalismo (in gergo si dice eco-vengeance), entomofobia (paura degli insetti), misofobia (paura dei germi) e un certo piacere, molto cinefilo, per il gore spregiudicato.
E Levinson, che di sicuro è uno curioso, uno a cui il cinema barbaro sembra probabilmente una cosa da capire, un modo di ringiovanirsi le idee, nel found footage ci si butta mani e piedi, energico come un ventenne ma con tutta la consapevolezza tecnica, e narrativa, che gli viene dagli anni. Per questo in mano sua diventa tutto molto preciso, perfino regolare, anche quando la vicenda si fa più selvaggia, le morti più brusche. Si racconta di una piccola città costiera dove l’inquinamento (consapevole e truffaldino) delle falde acquifere genera una nuova, terrificante stirpe di parassiti “invasivi” dell’organismo umano (Freud avrebbe da commentare). Naturalmente l’epidemia prima viene sottostimata, poi analizzata, infine combattuta: sempre troppo tardi. Il decorso sanitario della comunità che viene invasa, è raccontato in flashback da una giornalista sopravvissuta. E c’è appunto un che di confortante, ordinario (in senso buono, come a dire classico), sia in questa struttura narrativa, che nel modo – chiaro e impressionante – con cui la progressione dell’epidemia viene centimetrata. La specificità del found footage serve, come sempre, a rendere più credibile la parte più cruenta, gonfiando il coinvolgimento.
Un ottimo horror, per amanti del genere – anche smaliziati – che qualcuno o qualcuna potrebbe perfino trovare arduo da finire.
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Mi piace
Un found footage a suo modo classico, e per questo ancora più impressionante
Non mi piace
Quel che è classico, a volte rischia di diventare convenzionale
Consigliato a chi
Agli amanti dell’eco-vengeance che non hanno troppi problemi a fare i conti con gli scarafaggi e le epidemie
Voto: 4/5
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