«Siamo i mangiapeccati. In pratica, prendiamo gli escrementi morali che troviamo strada facendo e li seppelliamo dentro di noi. In modo che la nostra causa possa mantenersi pura. E’ questo il compito. Noi siamo moralmente indifendibili e assolutamente necessari».
La lezione “deontologica” che – alla fine di una missione evidentemente conclusasi con effetti collaterali indesiderati – il Colonnello Ric Byer (Edward Norton) impartisce all’agente Aaron Cross (Jeremy Renner) è il cuore pulsante di The Bourne Legacy.
Partendo da dove Ultimatum ci aveva lasciati, anzi parallelamente al suo epilogo, il quarto capitolo della saga, infatti, ci catapulta finalmente nella “stanza dei bottoni” dell’organizzazione responsabile del programma Treadstone (del quale faceva parte Jason Bourne-Matt Damon), presentandoci il burattinaio a capo dell’operazione e di un progetto ancora più grande, che comprende altre sezioni parallele. Tra le quali Outcome, un ulteriore corpo speciale della difesa statunitense. Un ulteriore plotone sperimentale di super spie addestrate come macchine da guerra e sottoposte a un trattamento farmacologico, che ne potenzia doti fisiche, psichiche e intellettive.
Tra le fila di questo piccolo esercito troviamo Cross, che accidentalmente sfugge allo smantellamento del programma, divenuto pericoloso in seguito al clamore mediatico che il caso Bourne ha suscitato e un rischio per l’intera organizzazione. L’agente intraprende così un’indagine privata e una corsa contro il tempo per procurarsi una nuova scorta di medicine. E si mette sulle tracce della scienziata che ha seguito il suo addestramento, interpretata da Rachel Weisz. Peccato che anche lei sia già sulla lista nera di Byer…
L’intricato scenario iniziale necessita, dunque, una notevole collaborazione dello spettatore. Al quale viene richiesta una conoscenza, quanto meno basilare, della trilogia precendente e un’attenzione costante a dettagli, personaggi, relazioni. Una premessa importante, che tuttavia viene compensata dalla buona sceneggiatura dell’ormai rodatissimo Tony Gilroy (autore degli script della trilogia), che per questo spin-off si è dedicato anche alla regia, un ruolo per il quale si era già guadagnato una nomination all’Oscar nel 2007 con Michael Clayton. E la sua prova non ha nulla da invidiare ai predecessori. Soprattutto nella prima parte del film, stilisticamente elegante e narrativamente ben orchestrata. A partire dall’entrata in scena del nuovo eroe. La vera sorpresa dell’episodio.
L’eredità lasciata da Matt Damon si presentava come un fardello decisamente troppo pesante per Renner. Pur avendo dimostrato una certa credibilità come “spalla d’azione” in Mission: Impossible – Protocollo fantasma e The Avengers, prima di oggi non sembrava aver maturato il carisma del protagonista. Stupisce positivamente, quindi, la solidità della sua performance, aiutata anche dall’alchimia instaurata con la Weisz.
D’altra parte, seppure nei panni di un personaggio nuovo e diverso, il paragone con il Bourne di Matt Damon è inevitabile. E di fronte al magnetismo e al talento del collega Renner esce sconfitto, ma a testa alta. I combattimenti corpo a corpo sono il suo asso nella manica e la destrezza di Cross non deluderà le aspettative dei fan della saga, abituati ai pirotecnici ko messi a segno dal predecessore. E’ piuttosto la messa in scena a soffrire nelle sequenze d’azione del forsennato e lungo inseguimento automobilistico dell’epilogo, che spinge un po’ troppo sulla ricerca dell’effetto, ma cade nello stereotipo e finisce per scimmiottare Fast & Furious.
Molto più interessante, invece, l’esplorazione delle zone grigie della morale, tra paradossi e contraddizioni, ideali e compromessi, che fanno capo alla tormentata figura del villain di Edward Norton. Un villain non canonico, che alla spietata gestione dei suoi programmi segreti si dedica con la fiducia e la passione dell’eroe.
Il motore del film resta, come in passato, il tema del singolo che si ribella al “sistema”, di cui ha scoperto le falle. Falle di cui però ci viene mostrata l’altra faccia della medaglia, attraverso lo sguardo del personaggio di Byer, che a suo modo insegue un bene superiore. Si punta, così, il dito contro la corruzione del sistema, dello Stato, delle sue leggi e della sua morale. Lo scontro decisivo tra bene e male, ma soprattutto il fluido spostamento dell’uno verso l’altro, si risolverà forse in un nuovo episodio, al quale il finale aperto del film lascia ampi margini.
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Mi piace
Sceneggiatura ben orchestrata e regia stilisticamente elegante nella prima parte del film. Un villain non canonico, che alla spietata gestione dei suoi programmi segreti si dedica con la fiducia e la passione dell’eroe. La sorpresa Renner, che pur non avendo il magnetismo di Damon esce a testa alta dalla sfida
Non mi piace
II lungo inseguimento automobilistico dell’epilogo, che spinge un po’ troppo sulla ricerca dell’effetto, ma cade nello stereotipo e finisce per scimmiottare Fast & Furious
Consigliato a
Ai fan della saga, le cui aspettative non verranno deluse. Per rimanere sul pezzo, in attesa del vociferato ritorno di Matt Damon
Voto
3/5