The Dressmaker - Il diavolo è tornato: la recensione di loland10
telegram

The Dressmaker – Il diavolo è tornato: la recensione di loland10

The Dressmaker – Il diavolo è tornato: la recensione di loland10

“The Dressmaker – Il diavolo è tornato” (The Dressmaker, 2015) è il quinto lungometraggio della regista-sceneggiatrice di Melbourne Jocelyn Moorhouse.
Dopo l’arrivo del treno e di una ‘corriera’: “Sono tornata bastardi!”; dal treno partito risponde a se e al controllore: “Lei non conosce certa immondizia”.
Post-arcaico western in patina schizofrenica e satira arguta in ‘battage’ movie. Tutto e troppo in due ore di andata-ritorno, occhiate e dolcezze, ilarità e palla-ovale, sporcizia e colori sgargianti, miserie e ratti disdicevoli. Una sceneggiatura che si comprime e che si dilata secondo i gusti del momento e della scena ma che nell’insieme stenta ad essere solidamente
Musica con ritmo per l’ultimo duello e che dire che lo sbarco dal treno sembra ricalcare la Cardinale in ‘C’era una volta il West’ che dal treno s’incammina polverosa mentre la ‘ragazza vestita di rosso’ ringhia di schianto verso la polvere inaridita di un posto (australiano) abbandonato. Siamo nel 1951: società di pizzo, compassate signore, acidità nascoste, cattiveria quotidiana e sport in vetrina..

Trio da sconquasso: madre, figlia e fidanzato. La pazza, la strega e il topo. Tutto scorre in un piccolo buco di case con la collina in guardia (stile ‘Psycho’) e Dungatar ritorna ‘viva’ dopo la morte e un incidente. La cacciata-fuga fu la migliore cosa per Tilly accusata di uccisione e di nefandezza da strega. La vendetta dovrà essere servita con intelligenza glamour e con colori focosi.
Il funerale è vita in questo borgo depresso e bastardo dove ogni personaggio è succhiato dalla spirale della spensierata gogna; niente da fare per stare allegri e gioiosi: ogni tanto qualche scherzo di pessimo gusto, un ballo in compagnia, un chiamata al poliziotto, un pettegolezzo arguto e un po’ di sangue per mascherarsi.
La carrozzina e la carrozza, la vecchia derelitta e il giovane innamorato, Teddy da Molly per Tilly, un corpo scolpito, una mamma golosa e una figlia che cuce ogni voglia di vestito. Le misure di ogni forma, il vizio della perdizione e lo studio per il vero colpo da ‘teatro’. E’ cinema di rigetto e di vari succhi: satira, melò, giallo e cowboy, leggerezza e favola, onirico e drammatico. Tutto in troppa misura fino a quando il piatto si riempie e l’incendiaria (‘rossa’) da adito a tempo-re sfinito. Una ‘novelas’ in cui tutto può succedere e dove il finale è da ‘rimpiangere’ come un vero incipit di un film di altro tipo.
La costumista e la Singer, il teatro e la prima, le corna e il sangue, l’accendino e basta poco per passare il tappeto rosso e prendere il treno con lo sguardo fuori da un finestrino in corsa. ‘E’ vero…certe immondizie…sono da bruciare’. Peccato che il treno sia solo partito per un’Australia ancora da scoprire e una polvere di distillata memoria da ‘flash-back’. Lasciarsi tutto indietro con un fumo lontano.
You per Melbourne, almeno una città vivibile e poco scontrosa: chi sa se nel sud del mondo c’è aria tanta scanzonata per un film doppiamente imbastito e un corpo sinuoso.

Kate Winslet si sarà (sicuramente) divertita, certo è che lo script gli fa fare tutto e lei riesce a reggere il tutto (con una forza costante) nonostante ingarbugliamenti, fili tesi e archi intrecciati con voci di coro difformi, volti incrociati e script che lascia una stanchezza non disinvolta. Mentre il buon (e bel) Liam Heomsworth è un Teddy che piace troppo per un amore storpiato e un corpo che non vuole vedersi: mai fingere di essere uno tra i topi, meglio non esserci per un amore che sprofonda nel silos. La Molly (Judy Davis) è una vipera di sale, una donna che aspetta, un’attrice che sta al gioco desolante di una terra di confine (del cinema). E’ la Singer l’arma finale di fuoco (come un racconto ‘scuro’ di
Il grande schermo c’è tutto (l’inizio è folgorante, come le polveri che non si vedono negli ‘Spietati’ di Clint e il tappeto festivaliero di una discesa da ‘soubrette’ che caldeggia ogni ricordo rimosso) ma la regista scalda troppo i motori per un film forse troppo compiaciuto e àlgido nel comporre un quadro d’entusiasmo.
Jocelyn Moorhouse colma al femminile un’opera che pare un circolo vizioso. Mai dire che la sartoria non produce effetti devastanti.
Voto: 6½ /10.

© RIPRODUZIONE RISERVATA