Roma. Claudio (Alessandro Roja), cinico uomo d’affari senza scrupoli e dai modi egoisti e insopportabili, si ritrova invischiato nel bel mezzo di un’Apocalisse. Intrappolato in un’ascensore nel suo ufficio, senza possibilità di uscire e con soltanto il suo cellulare con sé, Claudio capirà ben presto che le persone intorno a lui si stanno trasformando in zombi famelici e assetati di sangue alla velocità della luce. Sopportare il senso di oppressione mentre fuori infuria la fine del mondo non sarà semplice. Tantomeno sopravvivere.
The End? L’inferno fuori è il cinema di genere italiano da difendere. Quel cinema che da noi è andato lentamente scomparendo, aperto a un’idea editoriale di grande spettacolo popolare. In questo caso, il senso di chiusura derivante dalla claustrofobia del protagonista, narcisista incastrato alle proprie colpe da espiare, convive con uno zombie movie in piena regola ma all’amatriciana, che ovviamente reca su di sé le insegne produttive dei Manetti Bros., alfieri della nostra produzione pop più verace e dal basso.
Non è un caso, in fondo, se la casa di produzione dei fratelli Marco e Antonio Manetti, denominata Mompracem, omaggia fin dal nome il Sandokan di Salgari, in un misto di freschezza e avventatezza. Perché fresco e avventato è anche questo horror d’uscita estiva da loro assemblato, con alla regia l’ottimo apporto di un esordiente di talento come Daniele Misischia, loro fido aiuto, che lavora sul dentro e sul fuori della catastrofe in presa diretta. Con una messa a punto degli effetti speciali che è estremamente all’altezza eppure sanguinosa e artigianale come si conviene.
The End? L’inferno fuori, in virtù di tali aspetti, può rappresentare per gli appassionati italiani di tale tipologia di cinema una piacevole eccezione in un panorama nostrano che offre sempre meno prototipi di questo tipo. Gli omaggi al compianto e indimenticato George A. Romero, sovrano indiscusso del cinema dei non morti, dei quali il film è disseminato, possono poi far sorridere, legittimamente e inevitabilmente.
La loro ruspante genuinità e ingenuità, tuttavia, è la stessa di un film che affronta l’orrore con solare e mai pedante ambizione e con un’ambiguità di fondo – il contagio è anche un attacco terroristico? O solo un virus manicomiale? – che si permette di giocare, sporcarsi le mani, ghignare sorniona. E tenere in pugno le viscere di chi guarda, che è quel che più conta.
Al centro di tutto, naturalmente, c’è poi Roma, la città italiana in questo momento più fragile e scomposta. Meta perfetta e ideale, dunque, per un anno zero dell’Umanità intera all’insegna del cannibalismo cieco e bavoso, in cui l’aberrazione si propaga senza soluzione di continuità dall’EUR a Castel Sant’Angelo.
Un corpo morto e collassato, una carcassa il cui cuore non è (e non era) abbastanza grande da sopportare tutte le sue periferie. Del tutto in linea col sistema nervoso a pezzi di Alessandro Roja, bravissimo nel tratteggiare una psicologia che va in frantumi entro quattro mura di metallo e capace di non sfigurare anche quando tenta di emulare da vicinissimo la smorfia luciferina del Jack Torrance di Jack Nicholson in Shining in uno spazio angusto.
Per finire, un pacchetto di curiosità: tra gli zombie più famelici c’è anche l’attrice Euridice Axen, vista in Loro 1 e Loro 2 di Paolo Sorrentino, nei panni di una donna di nome Marta, tra le prime vittime del virus. La voce al telefono della fidanzata del protagonista, Lorena, è invece di Carolina Crescentini, ma c’è spazio anche per un divertito cameo vocale in ascensore di Marco Manetti, per chi saprà riconoscerlo tutto da ridere e da scoprire.
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